PAPALEPAPALE – Il ‘caso’ Marchisio specchio di un’epoca: l’Italia e i suoi ‘fratelli coltelli’

 

Che si tratti di incomprensione o di malattia immaginaria probabilmente non lo sapremo mai, così come ci resterà per sempre il sospetto un po’ cattivello che ieri abbia vinto la ‘diplomazia’, per così dire, un modo per stare tranquilli e tutelare chi viene trattato con i guanti – anche troppo – eppure non fa altro che lamentarsi. Fatto sta che si tratta di una figuraccia, senza mezzi termini. Il ‘caso Marchisio’ scoppiato in Nazionale è qualcosa di mai visto prima, termometro di un’insofferenza nei confronti delle selezioni dei ct che si fa via via sempre crescente. Fatti che hanno un’origine, una ripercussione sul presente e inevitabili conseguenze sul futuro a medio-lungo termine. Tutto molto grottesco, non c’è che dire.

MALESSERE NAZIONALE

Scordiamoci i tempi in cui i talenti nostrani lottavano come dei forsennati per raggiungere una convocazione che era un po’ la consacrazione della carriera, il coronamento di tanti sacrifici. Ora magari il ragazzino di 20 anni si emoziona un po’ alla prima chiamata, un modo come un altro per dire “ok, ce l’ho fatta”. Poi però diventa pian piano un’incombenza a cui adempiere, un’altra grana da fronteggiare nel mare magnum delle 70 partite stagionali. Il calciatore si sente una star e ha già ampiamente modo di dimostrarlo con la maglia del club, quindi non ha bisogno di altre vetrine. La sua squadra men che meno, vive nel terrore che la Nazionale si riveli l’origine di un infortunio e non ce lo manda mai volentieri. Anzi, fa pressioni affinché i top player possano rinunciare agli appuntamenti meno importanti, piagnistei da ragazzini viziati che per giunta spesso vengono pure avallati dalle Federazioni. Già, perché un calciatore è spremuto e a disposizione della sua società per 300 giorni l’anno, ora sono quei 20 giorni che possono compromettere la sua incolumità fisica. Vabbè.

ORGOGLIO E COMPROMESSO

Il presente è grigio che più di così non lo è mai stato. Ci sono stati momenti in cui l’Italia è stata anche peggio a livello sportivo, forse non a livello umano. Nei periodi bui magari non c’era talento, ma quantomeno c’era la voglia di impegnarsi per recuperare le cose. Ora sembra invece che la volontà sia quella di abbandonare la barca che affonda. I calciatori ci fanno un favore, perfino quelli che qualche anno fa non sarebbero stati all’altezza neanche di portare le borse ai nostri big. E’ inevitabile poi il ricorso alle seconde scelte o peggio a ‘quelli della seconda scelta’. La lingua non può che battere sul dente degli oriundi, italiani per convenienza che sposano la causa azzurra perché lasciati sull’altare dalla causa più importante, quella del loro vero Paese. Un compromesso a cui scende la Nazionale con calciatori che non fanno neppure la differenza, pure perché se l’avessero fatta state certi che accettavano la chiamata dell’Argentina e del Brasile. Non è chiusura verso lo straniero, ci mancherebbe, sarebbe già sufficiente se nell’Italia venisse chiamato chi si sente più italiano che qualcos’altro: magari si potrebbe scegliere la Nazionale al compimento della maggiore età, senza ripensamenti o tatticismi, indipendentemente da chi ti chiamerà o non ti chiamerà. Basterebbe che la Federazione avesse un minimo di orgoglio e decidesse di non voler essere la ruota di scorta di nessuno. Ma forse parlando di orgoglio chiediamo un po’ troppo.

FUTURO PIU’ NERO CHE AZZURRO

Adesso l’orizzonte è oscuro più che mai. Conte è ad un passo dalle dimissioni, e per come è stato trattato da quando ha accettato la panchina nessuno potrebbe dargli torto. Era forse l’ultima speranza italiana di una tradizione che in realtà va scemando in tutto il mondo, lasciando il passo alla modernità, al calcio globale, delle Champions e dei milioni. Perfino il Mondiale, che è un evento planetario con pochi eguali al mondo, sembra una kermesse in grado di attrarre un numero incalcolabile di spettatori ma nonostante ciò non sembra per nulla insostituibile. Una superlega con i top club mondiali aspetta solo la crescita della MLS per poter prendere piede, a quel punto le Nazionali non serviranno più a nessuno e toglieranno un grosso peso sia alle squadre che ai calciatori, per non parlare dei dirigenti FIFA impegnati a rivitalizzare una realtà moribonda che proprio non vuole più saperne. Forse l’unica strada per salvare il fascino vintage delle Nazionali è quella di stabilire cospicui premi a convocazione per i calciatori e una sorta di canone di ‘affitto’ per le squadre proprietarie del cartellino. Almeno ufficializzerebbe ciò che tutti già sappiamo, almeno definirebbe i nostri amati protagonisti con quella parolina che sempre più li identifica. Quale parolina? Potete arrivarci benissimo da soli…

 

Di AntonioPapa (Twitter @antoniopapapapa – ShareSoccer @papalepapale)

 

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