Nel 2008 Christopher Nolan confeziona il capitolo di maggior successo della sua trilogia dedicata al Cavaliere Oscuro, che lo lancia nel mondo del pubblico di massa, che finalmente si accorge di lui, nonostante siano già passati dal grande schermo ottimi film come Memento e The Prestige. The Dark Knight, interpretato da un ottimo Bale, che cavalcava l’onda dalla quale sta per scendere McConaughey per farvi salire Cumberbatch, è l’antecedente degli attuali cinecomics, più legati alla vita reale, per quanto possibile, e dunque abbandonando scenografie prettamente da comics, per quanto splendidamente grottesche, come nel caso di Burton.
Il Batman mostrato in questo film è stanco e giunto al limite, pronto a dare la caccia a ogni singolo criminale, spolpando viva la feccia di Gotham, fin quando nei bassifondi tutto ciò non conduce al parto di una nuova mente deviata e criminale, Joker, che Heath Ledger, a giudizio della critica, porta fino all’elevatissimo livello di Nicholson. Nolan accarezza quello che fu il cavaliere oscuro descritto da Miller nelle sue graphic novel, ma senza osare troppo, così da restare in un ambito godibile anche dai più piccoli. A sprazzi però si riesce a intravedere quel barlume di follia, che in fondo fa del pipistrello l’altra faccia della medaglia rappresentata da Joker. Folli e stanchi derelitti che si aggirano per le strade di una città senza futuro, che alla fine si ritrovano a scontrarsi, fino a raggiungere i rispettivi limiti, con il beniamino delle folle che accetta il ruolo di villain, indossando ancora una volta maschera e mantello pur sapendo che la folla urlerà il suo nome con disprezzo, pronta a rinnegare quanto di buono fatto, sputando sul ricordo di un cavaliere giusto, che senza macchia però non lo è stato mai.
Ecco dunque qual è il problema, Gotham, intesa come massa influenzabile dal vento di una notizia, un singolo evento contro centinaia, una voce sussurrata o un gossip letto sull’ultimo tabloid in edicola. Detto questo, se Batman è l’eroe che Gotham merita, di certo non si può dire l’inverso, perché questa folla ignorante non merita qualcuno pronto a rischiare tanto per essa. Stavolta mi sono dilungato molto sul fronte cinematografico, ma solo perché apprezzo l’antieroe DC in questione, ma il punto è che di folle urlanti Napoli ne sa davvero tanto, troppo a dire il vero.
In città continua, da sempre, ad aleggiare il nome di Diego, rimarcando il fatto che un tempo questa società è stata grande. Nulla da obiettare, ma quanto è durata. Perché nessuno, o quasi vuole fronteggiare questa realtà? Il Napoli non è una big storica della serie A, se per big s’intende una squadra che per 40 anni abbia saputo lottare per la vetta, in maniera vagamente regolare. Il Napoli ha avuto i suoi periodi, e non soltanto quelli in cui Maradona le ha fatto visita, ma finalmente si ritrova a vivere la propria primavera calcistica, grazie al tanto odiato e disprezzato De Laurentiis. “Non è un tifoso” è l’accusa più sentita negli anni, ma per fortuna. La passione nasce e muore sugli spalti, il resto business. Dev’essere così per trovare il giusto compromesso per uno stadio di proprietà, o altrimenti ci si ritroverebbe, a causa della passione dei tifosi, a comprare, ancora, Ezequiel Lavezzi, pagando uno stipendio decisamente esoso, e dimenticandoci, ancora una volta, dei reparti più bisognosi, quando in realtà basterebbe confermare sul mercato Napoli l’intero gruppo offensivo.
Napoli urla e strepita, pronta a puntare dita su dita contro una maglia che sostiene d’amare, ma che al primo passo falso rinnega. Se in campo servono uomini, lo stesso si può dire anche di chi critica senza ragione. Se vogliamo giovani in squadra occorre accettare una certa fragilità, e dunque eventualmente degli errori. Rafael però è alla gogna, così come lo è stato il grande assente Insigne, figlio di un Napoli che ogni domenica ha riso alle sua spalle, fino al gol contro il Torino.
Troppo facile applaudire quando tutti hanno iniziato a farlo. Tutt’altra storia è far sentire il rumore sordo dei propri palmi quando un’intera platea è ancora indecisa sul da farsi. Palermo è stata una dura sconfitta, ma com’è possibile dimenticare in un lampo che dalla sfida contro il Parma di fine 2014 questa squadra ha mostrato tutt’altro carattere, vincendo un trofeo e rilanciandosi in Coppa e campionato.
Ora la città è serena, e i titoli dei giornali più pacati. Ora il colore azzurro è quello dell’unica squadra che abbia saputo imporsi in Europa League, ma a Sassuolo l’intero gruppo, Benitez compreso, sarà chiamato a rispondere di tutte le proprie responsabilità nel tribunale del bar/web. Il carro dei vincitori è ancora una volta stracolmo, ma oggi vale davvero poco, perché non conta ci che siamo (tifosi?), è ciò che facciamo che ci qualifica.
di Luca Incoronato (Twitter: @_n3ssuno_)