COLPO DI TACCO – Robin Friday, teppista con gli scarpini

robin-friday-167316975

‘Sul campo odio tutti gli avversari. Non mi importa niente di nessuno.

La gente pensa che sono pazzo, lunatico. Io sono un vincente’ – Robin Friday

Capacità da vendere, qualità innate e quel tocco da fuoriclasse, quando, a soli 8 anni, in classe, palleggiava con una gomma da cancellare, per poi passare alle arance quando di anni ne aveva 10, fino ad approdare nelle giovanili del Chelsea a soli 14 anni, dopo essere stato in quelle del Crystal Palace e Queens Park Rangers.

Robyn Friday, classe ’52, il sobborgo di Acton, zona ad ovest di Londra gli dà i natali ed una vita difficile e dura da combattere.

La droga, l’alcol, la testa calda, gli tappano le ali ed ostacolano la carriera, di uno tra i più forti calciatori inglesi della storia.

Dal sesto Beatles, al primo dei Rolling Stones, al possibile assassino della Regina, lasciando tracce del suo passaggio in troppi bar e prigioni.

A soli 16 anni inizia il suo tour, attraverso i riformatori della città.

Ma la passione che lo attrae verso il campo da gioco riesce a riscattarlo, ma solo temporaneamente.

Dalle partite giocate al campo del riformatorio, riesce ad ottenere un permesso per allenarsi con le giovanili del Reading, squadra che, nonostante le sue ripetute scorribande, non mollerà l’obiettivo di riportarlo sulla retta via.

Il primo vero ingaggio arriva con i dilettanti del Walthamstow Avenue Football Club, ma la sua indole e le continue liti con i compagni portano la dirigenza a cederlo all’Hayes.

Durante una partita, la squadra è costretta ad entrare in campo senza la sua punta di diamante.

Friday era sparito dagli spogliatoi, viene ritrovato da uno massaggiatore, al bar dello stadio, intento ad ubriacarsi.

Entra in campo in uno stato catatonico, gli avversari lo deridano mentre i suoi tifosi lo acclamano.

Aveva un rapporto idilliaco con la tifoseria e con il pallone, unico amico fidato.

Poteva essere sotto l’effetto di droghe o completamente ubriaco, ma appena scendeva in campo, dribblava, correva e devastava le difese avversarie, cosi come durante la partita sopracitata.

A pochi minuti dalla fine, dal centrocampo salta 5 avversari, da fuori area spiazza il portiere, siglando il gol della vittoria.

Riesce a portare l’Hayes in vetta alla classifica e ad avanzare senza freni in Coppa d’Inghilterra.

Le sue giocate, definite spettacolari e stupefacenti da tutti i tabloid inglesi, conquistano il Reading, la sua prima squadra, che lo acquista per 750,00 sterline.

L’approccio, con la sua vecchia squadra, non è dei migliori. Durante gli allenamenti, tra liti ed entrate dure sui compagni, costringe l’allenatore ad allontanarlo dal gruppo, allenandosi da solo.

Quel ribelle senza regole, che giocava senza parastinchi e senza freni, era un leader indiscusso. Temuto, odiato ma rispettato ed idolatrato.

Tutti i suoi compagni di squadra, gli avversari, gli allenatori ed addirittura gli arbitri, lo elogiavano.

Indimenticabile il gol che segnò contro il Brighton, in rovesciata, con una potenza che gonfiò la rete, lasciando tutti senza fiato. Un boato esplose nello stadio, i suoi tifosi, i primi che avevano cercato di dargli una mano, urlano il suo nome.

Addirittura l’arbitro, a fine partita, si complimenta per la spettacolarità di quella rete: ‘Complimenti figliolo! In 10 anni di carriera non ho mai visto un gol del genere. Il più bello della mia vita‘.

‘Davvero?‘gli risponde con un’alzata di spalle il saccente Friday :’Beh, dovresti venire a vedermi giocare più spesso’.

Ed erano frequenti i suoi colpi di testa, come dopo la partita contro al Plymouth Argyle: segna da calcio piazzato. Non esulta, non corre verso i compagni, ma scavalca i cartelloni pubblicitari e strappa una birra dalle mani di un tifoso. L’arbitro estrae il cartellino, ed il buon Friday, senza scomporsi, si allontana non dopo non aver urlato un sonoro :’Brutto s****. Avevo sete e allora?’

Tutto gli era concesso, tutto gli era dovuto.

Non rispettava se stesso e non era nelle capacità di rispettare gli altri.

Tanto da costringere la dirigenza dei “Royals” a cederlo, a titolo definitivo al Cardiff City.

Viaggiava costantemente senza biglietto, indirizzando le multe alla società che pagava, senza batter ciglio, consapevole delle doti del calciatore.

Picchiava i preparatori, se osavano ricordargli che fosse uno sportivo, non legava con nessuno dei suoi colleghi, si faceva trovare svenuto negli alberghi durante i ritiri ed arrivava a chiedere al Presidente della Società se poteva trovargli un pusher.

Sull’orlo del precipizio, ad occhi chiusi e con le mani legate. Eppure in campo, quella palla di cuoio, gli concedeva una tregua.

Amava il calcio più di quanto amasse se stesso e lo dimostrava, con una precisione ed una dedizione che gli illuminavano il viso, ma al triplice fischio il baratro era sempre più vicino.

A Cardiff, lo ricorderanno, soprattutto, per quella partita del 16 Aprile del 1977, contro il Luton.

In campo, Friday, ha ripetuti scontri verbali, con il portiere. Stanco delle parole, lo colpisce in pieno volto con un calcio. Ammonito si scusa e porge la mano all’estremo difensore Aleksic, che però non ricambia il gesto. Bastava poco per accendere la sua ira ed il suo orgoglio: prende palla, scavalca il difensore, dribbla il caro portiere, lo mette a sedere e segna.

Ghigno fiero, si volta verso Aleksic e gli mostra le dita a V, per umiliarlo e sottometterlo.

Il declino è vicino, si ammala a causa di un virus sconosciuto e perde oltre 10 kg, ritorna dopo oltre 3 mesi nel match contro il Brighton, lo marca, come una seconda pelle, Mark Lawrenson.

Una partita senza respiro, contornata da gomitate, tackle rabbiosi, pugni allo sterno per completarsi con un calcio in pieno viso; questa volta sotto gli occhi dell’arbitro.

Viene espulso ed invece di dirigersi verso il proprio spogliatoio, fa visita a quello degli ospiti.

Dopo aver trovato la borsa del suo nemico, gli lascia qualche ricordino all’interno.

L’allenatore è arrivato al limite della sopportazione, il Cardiff è ultimo in classifica e Robin non riesce a riprendersi, cacciarlo è l’unica soluzione possibile.

A 25 anni chiude la carriera, nonostante le richieste di diversi club.

I suoi ex tifosi fanno una raccolta firme, con tanto di colletta ed il nuovo allenatore del Reading, Maurice Evans, lo implora, promettendogli di aiutarlo, di stargli vicino e di avere un solo obiettivo, portarlo a giocare in Nazionale.

Ma Friday è irremovibile: durante un incontro chiede al mister l’età e con l’aria da duro aggiunge :’Ho la metà dei tuoi anni ed ho già vissuto il doppio di te’.

Ci prova, senza risultati, Matt Busby, che in quegli anni faceva il dirigente ed aveva da poco perso l’ennesimo figlio, George Best, ala destra del Manchester United.

Robin sa chi ha di fronte, nessuna spavalderia, si veste di umiltà e gli risponde :’So chi è lei boss, ma purtroppo non me la sento più di giocare’.

La più grande promessa del calcio inglese, abbandonato a se stesso e alle sue debolezze.

Eppure, non è stato capace di dedicarsi completamente alla sua unica guarigione.

La vita gli aveva servito su un vassoio d’argento fama, successo, la possibilità di una rinascita ma a nulla sono servite le mani tese di chi ha costantemente creduto in lui.

A soli 38 anni, in una casa popolare di Acton, un’overdose gli stronca la vita.

In sole 5 stagioni era riuscito a conquistare il mondo del pallone, era entrato nei cuori e nell’immaginario della patria del calcio, era riuscito a ritagliarsi uno spazio ed aveva una strada in discesa per portare il suo nome sempre più in alto.

Robin Friday aveva un solo nemico, se stesso.

Stay Tuned! Non sempre i cattivi, sono soltanto cattivi!

Di Ciccarelli Anna

 

Gestione cookie