“Mi spiace per quello che ho fatto e non vorrei essere ricordato per le mie espulsioni” – G. Bedoya
41 cartellini, oltre 23 giornate di squalifica, denunce ed ammende, eppure, il più crudo dei calciatori colombiani, Gerardo Bedoya, non compare nella lista dei calciatori più duri e violenti stilata dal tabloid “The Sun” e neppure nella lista degli impavidi e ruvidi, stilata dal quotidiano tedesco “Bild”.
Gambe e braccia d’acciaio, reazioni violente ed incontrollabili, un dominatore ed un attaccabrighe, ma fuori dal campo, una repentina trasformazione, uomo di principi e dotato di una forte umanità.
La sua carriera lo porta a militare in diverse squadre sudamericane ed in diverse categorie.
L’esordio nel calcio che conta, nel 1996, con la maglia del Deportivo Pereira. Nella sua carriera ha accumulato, oltre ai cartellini, diversi trofei, tra i quali la Copa América, che la Colombia riesce ad ottenere per la prima volta.
Mette a segno il gol per la qualificazione alla finale, nella partita contro l’Honduras e gioca per tutti i 90′ minuti con il cappio al collo, per un cartellino giallo e frena, per più di un episodio, i suoi istinti da macellaio.
Il suo Modus Operandi aveva dell’incredibile.
Nessun timore dell’arbitro e nessuna remora nell’attaccare l’avversario, soprattutto dopo averlo steso, con gomitate, testate e/o ginocchiate.
Aveva dell’incredibile il solo ascoltare le motivazioni delle sue gesta :”i miei, non erano falli pericolosi. Ma puntualmente, l’avversario di turno, crollava al suolo, neanche gli avessi spezzato le caviglie. Il calcio è un gioco da uomini non da signorine e certi atteggiamenti andavano puniti”.
Una grave mancanza non averlo avuto a disposizione nel Campionato Italiano, dove, sempre più spesso, i calciatori si immedesimano nelle vesti di ballerine leggiadre che al primo tocco e a volte senza neppure essere stati sfiorati, stramazzano al suolo.
Forse, incontrare sul rettangolo da gioco un giustiziere come Bedoya, farebbe cambiare atteggiamento ad una buona percentuale dei calciatori/ballerine di oggi.
Il 41 cartellino rosso arriva nel 2012, il 23 settembre, nel derby di Bogotà, contro la sua ex squadra, la Millionarios. Dopo aver steso Jhonny Ramirez, mentre il direttore di gara estraeva il cartellino, il buon Bedoya gli sferra un calcio in pieno viso.
15 giornate di squalifica ed un ammenda di 500,00 euro, eppure il povero malcapitato, perdona il suo cecchino, osannando la sua indole da vero duro.
Nel 2003, militante nel Deportivo Cali, sferra una gomitata all’avversario, provocandogli un taglio al sopracciglio ma non contento, gli calpesta le caviglie, lasciando segni tangibili dei suoi tacchetti.
Due anni più tardi passa all’Atletico Nacional e durante una partita contro il Tolima, stende l’attaccante in area con un colpo allo stomaco ed una testata.
Episodi cruenti che hanno lasciato il segno nella sua carriera. La fama del cattivo lo precedeva e negli avversari si accendeva l’ansia e l’agitazione.
Campionati, Coppe, Partite con la Nazionale: nessuno sconto e niente ripensamenti.
Coppa Libertadores, stadio Assuncion: i paraguayani dell’Olimpia sfidano i colombiani del Santa Fe.
In campo Juan Salgueiro, espluso a fine primo tempo, con il caro Gerardo Bedoya per un fallo trasformato in una vera e propria rissa: pugni, calci, ginocchiate e l’immancabile testata del gladiatore, tutto rigorosamente a gioco fermo.
Alla soglia dei 40 anni, il calciatore colombiano, non ha appeso gli scarpini.
Capitano della Cucuta Deportivo, Primera B Columbia, gioca e segna ancora.
‘Devo correre più veloce dei giovani e dare il buon esempio’, questa la risposta, a chi gli chiede cosa lo spinge a giocare ancora.
Uomo al passo con i tempi, internauta di professione: Twitta, posta foto su Instagram, segue personalmente la sua pagina facebook ed il sito web e risponde, accuratamente, ai messaggi dei tifosi e dei suoi estimatori e se vi dovesse capitare, di chiedergli, quale partita gli è rimasta più a cuore e quale vorrebbe cancellare, se potesse.
Vi risponderà che rifarebbe tutto, senza porsi limiti, perchè la prima cosa che ha imparato giocando a calcio è che in Colombia, se vuoi emergere, devi giocare duro.
E lui di gioco duro ne sa qualcosa.
…. Stay Tuned, perchè i calciatori/macellai, non finiscono qui.
Di Ciccarelli Anna
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