COLPI DI JENIUS – Due volte nella polvere, due volte sull’altar. Il 2014 è stato un anno azzurro

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Come il passo di manzoniana memoria, anche se non siamo proprio a maggio.
Due volte nella polvere, due volte sull’altar. Fu Napoleone, oggi è il Napoli.
Stessa radice linguistica, stessa gloria, stesso destino.
Due volte in esilio fu l’Imperatore francese, due volte si rialzò per accarezzare i fasti del potere europeo.
Due volte nella polvere c’è finito pure il Napoli di Rafa Benitez, ma per due volte ha saputo rialzarsi e mettersi in marcia come quell’esercito che il condottiero di Ajaccio aveva saputo creare dal nulla.

 

DALLO SCUDETTO ALLA COPPA – Il primo passo del Napoli rafaelita fu guardare in faccia lo Scudetto: lo disse chiaro e tondo il tecnico spagnolo nel suo primo anno a Dimaro, “Se siamo qui, se lavoriamo, se abbiamo campioni in squadra, è perché dobbiamo puntare a vincere qualcosa”.
A ruota seguì un De Laurentiis che della parola scudetto, in realtà, non ha mai avuto paura.
Erano anni che Napoli e il Napoli non partivano ad inizio stagione con l’obiettivo più alto: la vittoria.
Non sempre però la volontà corrisponde alle reali possibilità; non sempre le favole hanno un lieto fine. Come in questo caso.
È il Napoli dei record: delle vittorie esterne, dei punti realizzati, dei gol fatti in campionato. Eppure arriva ‘solo’ terzo, perché record ancora più grandi li avevano fatti registrare Juve e Roma.
La distanza dal primo posto è stato il primo passo falso degli azzurri. Ma dalle difficoltà nascono le gioie, e la prima gioia targata Benitez si registra la sera del 3 maggio: a Roma si batte la Fiorentina in Finale della Coppa Italia. Gli azzurri alzano al cielo la seconda coppa nazionale negli ultimi tre anni.
Dalla polvere all’altare, appunto.

 

DA BILBAO A DOHA – Ancor più netto il taglio temporale che in soli quattro mesi ha portato la squadra dalla notte di Bilbao a quella di Doha.
Stesso caldo, stessa tensione, stessa importanza, con finali fortunatamente diversi.
A Bilbao arriva il punto più basso dell’esperienza biennale di Rafa a Napoli: dopo il pari all’andata, una sconfitta roboante e piena di errori al ritorno in casa dei baschi. Il Napoli della Champions sente solo il profumo, dopo essere stato tra le rivelazioni dell’anno precedente. Per la seconda volta si cade nella polvere.
La brutta figura del preliminare si fa sentire anche in campionato: l’avvio è stentato, e la ripresa arriva solo a novembre.
Poi dicembre e le nuove difficoltà. C’è una finale da giocarsi, per quella Supercoppa italiana che due anni prima a Pechino era volata via in un modo così strano.
Gli azzurri hanno ricordato anche quella di polvere: quella di Mazzoleni, di Pandev e Cavani.
Hanno messo il cuore in campo, fino all’ultimo secondo, all’ultimo rigore.
Sull’altare ci sono saliti tutti insieme, ma aveva fatto strada Higuain.
S’era seduto come Napoleone sul trono del migliore in campo, mostrandosi al mondo.
Nel cielo di Doha si è alzato il coro di giubilo azzurro, il secondo nel giro di sei mesi. Come non accadeva da tanto, troppo tempo.

 

“Non posso assicurare che vinceremo lo Scudetto ogni anno, ma lavoriamo per far si che il Napoli non vinca un trofeo ogni quarto di secolo”, ha detto Rafa nel secondo appuntamento di Dimaro.
Anche stavolta ci ha preso.
Il 2014, in fondo, è stato innanzitutto il suo anno a Napoli.
E se dal Manzoni ci spostiamo al de’Medici, sapremo che “Di doman non c’è certezza”, neanche con Rafa.
Ma se dovesse restare in città eviteremmo la nostra Sant’Elena, e ci sentiremmo molto più sicuri anche per il 2015.

 

A cura di Gennaro Arpaia (Twitter: @gennarojenius9)

 

 

 

 

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