Nel 2010 Colin Firth, Geoffrey Rush ed Helena Bonham Carter ci portano, diretti da Tom Hooper, nella Londra degli anni ’30, alle porte del secondo conflitto mondiale, per raccontarci la storia di Bertie, secondogenito di re Giorgio V, ritrovatosi sul trono, con il gravoso peso sociale che ciò comporta, e perciò costretto a riprendere una lotta da tempo abbandonata contro la balbuzie, ne Il discorso del Re.
Allenatosi, in parte, a effettuare discorsi semplici, brevi e in un ambiente sereno come quello della sua famiglia, Bertie è letteralmente terrorizzato alla sola idea di dover avvicinare il volto a un microfono radiofonico, parlando all’intera nazione, in attesa di un discorso, quello del re appunto, che sappia dal loro la forza di fronteggiare la minaccia nazista.
In suo soccorso, seppur attraverso un tortuoso percorso, giunge Lionel Logue, un logopedista tutt’altro che autorizzato, e dai metodi stravaganti. Unico in grado di pungere il futuro re d’Inghilterra nel centro di una ferita aperta, senza temerne l’ira scaturita dall’umiliazione.
Ogni parola dev’essere ben soppesata in questa pellicola, sia per Bertie, costretto a pensare ai tanti esercizi preparatori, che per chiunque gli ruoti intorno, al fine di evitare espressioni che possano turbare un uomo grande e grosso, ma indifeso come un ragazzino.
Questo è forse il messaggio più importante che viene espresso dalla pellicola del regista inglese, che consegna a ogni singola parola la propria importanza, le proprie pause, con il risultato di un’espressione di pensiero molto più ragionata. Qualcosa insomma da trasmettere sui maxischermi ancora latitanti dello Stadio San Paolo prima di ogni gara, a Castelvolturno o nei tanti club Napoli sparsi per il mondo.
Tutti dovrebbero essere affetti da balbuzie, così da poter avere una manciata di secondi in più prima di esprimere a voce il primo pensiero che passi per la mente, e questo 2014 lo ha dimostrato chiaramente. Si parte con quel brocco di Insigne, che solo perché in grado di fare anche un po’ di fase difensiva, costringe in panchina quel fenomeno goleador di Mertens. Insigne poi non vede la porta, e di certo pressione cittadina e fischi continui allo stadio non hanno nulla a che fare col suo nervosismo. Inoltre, al di fuori del campo, ha iniziato a farsi crescere anche la barba, e di certo è una scelta poco gradita a una certa frangia del tifo, che sui social non hanno mancato di sottolinearlo.
Peccato però che Insigne inizia a segnare, trovando la concentrazione zen per isolare in qualche modo l’audio dagli spalti. Arriva poi l’infortunio, e mentre Lorenzo diventa santo, Mertens si tramuta in quello degli ultimi 20 minuti di gara. Higuain è un fenomeno, e l’unico vero campione presente in serie A. Grazie a lui e Callejon (tanto per citarne due) sono stati raggiunti 12 punti in Champions, che sfortunatamente però non sono valsi la qualificazione. Quest’anno però Higuain ha perso la sua grandezza, e di certo Cavani avrebbe fatto cento volte meglio di lui. El Matador manca a tutti, eppure tutti, o quasi, lo hanno riempito di fischi al suo primo ritorno a Napoli.
Benitez era il re di coppe, ma quest’anno più che mai si è tornati a rimpiangere Mazzarri. Intanto lavori vengono fatti al centro sportivo, la rosa viene svecchiata, in bacheca ci sono due nuove coppe e l’appeal della società è cresciuto vertiginosamente. Sì però Mazzarri urlava dalla panchina e si toglieva la giacca, gesto che faceva tremare gli avversari e cambiava le sorti del match.
Rafael era un brocco (discorso valido per l’intera squadra), eppure è grazie a lui che portiamo a casa la Supercoppa Italiana. Fa parate importanti nel corso dei tempi regolamentari e ai rigori, guadagnandosi una tregua nei prossimi match di campionato. La parata su Chiellini e quelle precedenti però sarebbero state serenamente dimenticate se non fosse giunta anche quella su Padoin. E comunque questa coppa diventerà coppetta a fine anno, se il Napoli non dovesse centrare almeno il terzo posto, la finale d’Europa League e quella di Coppa Italia.
Gargano poi era da cacciare, David Lopez da offendere, Callejon da vendere perché aveva osato ascoltare voci di mercato Napoli, Koulibaly da mandare all’asilo e Duvan da spedire al Torino o all’Udinese, che tanto sono quelle le sue dimensioni calcistiche. Infine, ancor prima d’aver messo a segno un solo colpo di caratura mondiale, a Dimaro De Laurentiis, come di recente ha ripreso a fare, ha dato libero sfogo alla propria loquacità, annunciando acquisti spettacolari e una strenua lotta allo scudetto. Peccato però non aver tenuto conto del peso Mondiale, del sorteggio sfortunato e soprattutto aver puntato tutto su una strategia a dir poco azzardata.
A pochi giorni dal successo contro la Juve però pare che Napoli stia vivendo una sorta di reboot emotivo, e così si ascoltano esperti, tifosi ed ex giocatori parlare di un Napoli che necessariamente deve mirare allo scudetto, nuovamente, che la finale d’Europa League è alla portata e soprattutto, frase senza tempo, che questa squadra può battere chiunque. I campioni dunque sono tornati, anche se il timore che tornino brocchi negli articoli e nei cori di febbraio 2015 è molto reale.
Eppure basterebbe poco a migliorare lo stato delle cose attuale, ovvero seguire lo stile di vita, per quanto a lui indesiderato, di Giorgio VI, che viene spiegato chiaramente da Firth: “Aspettando che sia io a cominciare una conversazione si rischia di aspettare abbastanza a lungo”.
di Luca Incoronato (Twitter: @_n3ssuno_)
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