SHOWTIME – Lì dove i motivatori non possono arrivare

hartman

La guerra è terrificante e alienante, e occorrono nervi d’acciaio e moralità rasente lo zero se si voglia anche solo prendere in considerazione l’idea di ritrovarsi in un campo di battaglia tra sangue e urla. Si tratta di un concetto esplicato in maniera esemplare da Kubrick in Full Metal Jacket, già a partire dal capitolo iniziale che funge da prefazione, ambientato in un campo d’addestramento per Marines, dove a decidere della vita e la morte di qualunque essere umano in divisa si aggiri nei paraggi è il terrificante sergente Hartman.

Le sue urla si possono sentire in ogni angolo del campo, incutendo terrore a ogni passo, umiliazione a ogni parola (inevitabilmente offensiva). Kubrick dimentica del tutto l’epicità di una guerra a stelle e strisce portata contro uno dei tanti temibili nemici dell’America liberatrice, mostrando uomini terrorizzati da quello che potrebbero fare o subire su quel campo, mandati a morire nel corpo o nell’anima.

Il compito di Hartman era semplice, ovvero rendere i propri uomini degli automi, spegnendo ogni residuo d’umanità e dunque di libero pensiero rimasto aggrappato al loro subconscio. Il risultato però è un enorme gruppo di bestie urlanti, pronte al macello. Si combatte un nemico privato come loro di una identità singola, inteso unicamente come massa da abbattere, ma gli unici a poter sopravvivere alle atrocità della battaglia sono proprio coloro che si dimostrano in grado di opporsi mentalmente ad Hartman, restando lucidi, per quanto possibile, restando alla larga da quella sete di sangue che nei bagni del campo Marine regala una delle scene più belle della storia del cinema.

Per un’intera settimana il sergente Mihajlovic non ha fatto altro che preparare i suoi uomini alla battaglia. Li ha terrorizzati, minacciandoli con la promessa di una settimana d’inferno in caso di fallimento contro il Napoli. I blucerchiati hanno recepito il messaggio, e sono scesi in campo privi di alcun pensiero proprio, ma volti unicamente alla pressione a tutto campo. Il Napoli andava abbattuto, e per farlo occorreva fidarsi ciecamente delle urla del sergente, spingendo a più non posso, senza però quasi mai arrivare al tiro verso la porta di Rafael.

Il Napoli ha sofferto questa massa urlante, ma ha deciso di restare lucido, secondo i dettami di Benitez, che ha sfruttato al meglio, e fino all’ultimo istante, i valori acquisiti dal mercato Napoli. Gli azzurri hanno continuato a proporre il loro gioco, anche se con evidenti problemi di connessione tra centrocampo e attacco, arrivando a un passo dal gol con manovre ragionate.

Il gol della Samp arriva poi, improvviso, da un’azione ragionata di un singolo blucerchiato, mentre il Napoli, continuando a credere nei propri schemi, crossa ancora una volta, riuscendo a trovare un pareggio insperato, ma frutto di una logica precisa e vincente.

In tanti in città rimpiangono il periodo mazzarriano, fatto di urla, tanta scaramanzia e giacche gettate al vento in cerca di una scossa dagli uomini in campo o dal destino. E su questa linea di pensiero si guarda a Mihajlovic come possibile sostituto di Rafa. Il Napoli però ha bisogno di uno stratega, in grado di studiare i propri uomini e quelli della squadra avversaria. Napoli avrebbe bisogno di un lungo ciclo di Benitez, ma se proprio lo spagnolo dovesse andare via, che si cerchi un suo simile e non si lasci morire questa squadra con un fucile in bocca in un fetido bagno nella Carolina del Sud.

di Luca Incoronato (Twitter: @_n3ssuno_)

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