Tanto per cominciare facciamo i cattivoni e scrolliamoci di dosso la retorica spiccia: non è stata la vittoria di Ciro, semmai è stata la vittoria PER Ciro, ma non certo in campo. Ci arriveremo. Nel frattempo fidatevi, in campo si pensava a tutt’altro. Si pensava a come demolire in un colpo solo i castelli in aria costruiti dai tromboni in questi mesi d’inferno. Novanta minuti per dimostrare che questo Napoli può giocarsela con chiunque e può mettere in ridicolo la squadra più bella di quest’inizio di stagione. Sì, la più bella, lo dico senza timore di smentita. Ci era riuscito solo il Bayern finora, e se ieri gli azzurri ne avessero fatti altri sette nessuno avrebbe avuto da ridire. Ci si è messa un po’ di sfortuna e quel solito difetto, quello che più di ogni altra cosa penalizza il salto di qualità. Arriveremo anche lì.
COSA VA – Sarebbe esercizio pleonastico soffermarsi ancora su cosa va di traverso a chi ha passato mesi e mesi a processare un gruppo che aveva ancora tutto da dimostrare e che finalmente, scrollatosi di dosso le tante critiche stupide, sta iniziando a dimostrare tutto e anche qualcosa di più. La partita di ieri è stata il trionfo del credo di don Rafa Benìtez, dei movimenti sincronici degni del corpo di ballo dell’Opera di Parigi, dei campioni ritrovati che un po’ di bocche le hanno zittite pure loro, finalmente. Soprattutto, ed è il dato più importante, finalmente si guarda ad una classifica che – ma va? – torna a parlare un po’ di napoletano. A dimostrazione che gli imbecilli di Berna e tutti i loro simpatici sostenitori possono anche restare a casa. Non accadrà. Dall’assalto al pullman al salto sul carro il passo non è mai stato così breve.
COSA NON VA – E già, in una giornata trionfale come quella di ieri c’è anche qualcosa di storto, e va assolutamente evidenziato. La nota dolente: il Napoli non riesce a chiudere le partite. Ok la sfiga sulle traverse e quant’altro, ma ci sono momenti in cui la spinta sull’acceleratore deve anche significare che si concretizza qualcosa. Solo nel primo tempo ce ne sono state almeno 4-5 di occasioni, poi quel cucchiaio di Callejòn grida ancora vendetta. Troppo leziosi. A volte può pure dirti bene, poi però arriva la batosta e sono dolori. Meno male che non è accaduto ieri: staremmo parlando dell’ennesima incompiuta, figlia della jella e di qualche scelta opinabile dell’allenatore. Ma soprattutto di quella benedetta nota dolente, e chissà se fra tanti placebo ce ne saremmo accorti.
UNITED COLORS OF CIRO – Ciro, quindi. In campo gli occhi della tigre hanno spazzato via ogni malinconia e ogni pensiero romantico. Meglio così, probabilmente. Sugli spalti invece la presenza del giovane Esposito si sentiva, eccome. Inevitabile che quel minuscolo striscione urlante vendetta diventasse più importante degli altri, enormi, esposti all’insegna della pace e della correttezza. Del resto è una settimana che va avanti ‘sta storia, alla ricerca disperata della notizia che possa far discutere i giletti e le barbaredurso nei rispettivi salotti domenicali. Invece tutto liscio ben oltre le previsioni, perfino con qualche striscione encomiabile. Quello della Leardi ma soprattutto quello dedicato a Sibilia, simbolo di un calcio che non c’è più e tributo ad una società non proprio gemellata, visto il recente passato comune in serie C. Per il dispiacere di qualcuno, che aveva già preparato articolesse e paginoni centrali. Così sia.
Di AntonioPapa (Twitter @antoniopapapapa – ShareSoccer @papalepapale)
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