Come una Penelope patologica, gli azzurri dimostrano ancora una volta alla Scala del calcio la loro enorme fragilità psico-emotiva. Dopo una prima frazione assolutamente sottoritmo – anche se per la verità con poche occasioni concesse all’avversario – , l’equipo di Benítez gioca un secondo tempo più che discreto, sfoggiando per l’occasione un killer instinct che sembrava ormai morto e sepolto (o meglio mai avuto). Merito soprattutto di un Callejón mostruoso, certo, ma pure di un atteggiamento globale completamente diverso da quello arrendevole e passivo mostrato nei quarantacinque minuti d’esordio. Eppure il busillis sta là dietro, inutile nascondersi dietro a un dito. L’abbiamo già detto e fino alla noia lo ripeteremo. È un continuo tessere e tagliare la tela (a proposito, ma sto portiere da dove è uscito?): in attacco grandi numeri, colpi da fuoriclasse, invenzioni geniali; in difesa le solite magagne e papere individuali. Almeno uno a partita, la stessa impressionante media tenuta ultimamente dallo smarrito Vidić a strisce nerazzurre. Per una volta San Siro sarebbe potuto essere terreno di conquista, un “veni, vidi, vici” di cesariana memoria. E invece ci ritroviamo a commentare nuovamente un Napoli che viaggia ad andamento lento; davanti ne segna due, e dietro se nemanja cento.
di Domenico Ascione (Twitter: @vesuvilandia)
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