Mike ha un’abilità indiscutibile. Sa capire le persone, e questo gli basta per leggere, quasi fosse un libro aperto, una qualsiasi partita di poker. Soltanto due cose possono fregarlo. La prima è quella che può distruggere la vita di un qualsiasi giocatore, da un momento all’altro, le carte stesse, l’altra è la pressione, che nel suo caso si tramuta puntualmente in paura. Ecco da dove ha inizio “Il giocatore” di John Dahl.
Quando si siede a un tavolo per fare sul serio, quello di Teddy KGB ad esempio, sul telo verde mette la sua intera vita, che svanisce come nulla fosse dinanzi a un russo pelato che trangugia oreo nel proprio club clandestino. Il tutto avviene in poco tempo. La posta è troppo alta per Mike, che trova il coraggio di sedersi ma non di fare le mosse giuste, quelle che in una serata tra amici o emeriti sconosciuti gli avrebbero fruttato qualche centinaio di dollari facili facili.
La sua è una storia di caparbietà e coraggio, ma soprattutto di tanta incoscienza. Ritrova e perde un amico nel tragitto, “Verme“, che rappresenta ciò che di più malato possa fare questo gioco a un essere umano, condannarlo alla dipendenza. Come detto però, Mike sa capire le persone, e alla fine riuscirà finalmente a farlo con se stesso, trovando il coraggio di schiantarsi contro ogni sua paura, raffigurata in Teddy, per riprendere in mano un destino sfuggente.
Anche Insigne gioca su di un telo verde, insidioso tanto quanto quello di Mike, dove non è difficile inciampare, e la paura vi trova spesso alloggio. Poter vivere del proprio talento è una fortuna immane, ma ogni buona stella va meritata fino in fondo, mostrando d’avere gli “oreo” per essere lì, in quel preciso istante, fissando negli occhi i propri fantasmi.
Lorenzo ha talento e soltanto due cose possono fregarlo. La prima è il pubblico, che, un po’ come le carte, rappresenta una fondamentale variabile del gioco. Entrare al San Paolo da napoletano, indossando quella casacca azzurra, può segnarti la vita per sempre, in positivo o in negativo. La seconda è quella che può distruggere la vita di un qualsiasi giocatore, da un momento all’altro, se stesso. Correre non basta, non se rappresenti lo specchio di 80mila anime che per una vita intera, costellata per lo più di sacrifici, hanno desiderato ardentemente sentire quel prato sotto i tacchetti in una domenica afosa di maggio che profuma di scudetto. Per sopravvivere a quel girone infernale che è lo stadio di Fuorigrotta Insigne deve imparare a non curarsi di loro, di nessuno di loro.
Al diavolo i tifosi. Il loro umore cambierà mille volte nell’arco di una singola stagione. Tu però resti lì, in campo, senza arretrare mai, grazie anche a un iberico Virgilio che crede ciecamente che tu possa farcela a superare le fiere urlanti e fameliche. Non contano i pali, i fischi, le parate, i tiri sbagliati. Conta unicamente continuare a provare, in attesa del proprio momento.
Nessuno avrebbe scommesso un soldo su Mike. Le risate e gli sguardi complici lo hanno accompagnato per tutto il tempo nel covo di KGB, eppure lui li ha sorpresi tutti, quasi come un gol di Lorenzo di testa nel cuore dell’area, neanche credesse di chiamarsi Higuain. “La vita si gioca in un colpo solo, il resto è attesa”, e ora che ti sei ripreso tutto/i, che hai scoperto il gusto delle lacrime di gioia, non smettere di giocare, di provarci. Sordo come solo i veri campioni sanno essere.
di Luca Incoronato (Twitter: @_n3ssuno_)
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