FOCUS – Nodo sponsor, tra le brame dei tifosi e il giusto modo di far industria

maglia

Inutile prenderci in giro, il calcio non è più uno sport romantico lontano da mire economiche. Forse non lo è mai stato, se non nel cuore dei tifosi di ogni parte del mondo, e a far la differenza oggi è unicamente il fatto che gli assegni che caratterizzano l’universo del football sono più gonfi che mai. Nessuno fa un investimento per sola passione, probabilmente neanche nei tempi d’oro di questo splendido sport, ma oggi in molti accusano i dirigenti calcistici di non saper neanche fare lo spelling di questa parola. Dagli spalti gli irriducibili sognatori pretendono ingenuamente un attaccamento a una maglia che per la maggior parte di coloro che sul prato rincorrono quel dannato pallone non è poi tanto diversa da qualsiasi altra. Daltonici per scelta, meramente economica, i calciatori inseguono ben altro che una sfera, bensì l’ingaggio più oneroso che si possa strappare a un presidente ricolmo di soldi da far invidia a quel pusillanime di Paperon de Paperoni. Mettiamo da parte però il tanto abusato binomio calciatore-mercenario per parlare proprio delle società e dei presidenti. Il calcio è un business, adora ripetere e ripetersi De Laurentiis, e come tale va gestito e amministrato. Occorre tener sempre presente il concetto di stadio virtuale e mirare alle stelle, provando ad accaparrarsi più tifosi possibili in giro per il mondo. Nella speranza che affollino un giorno lo stadio dove la squadra del cuore sfida i propri avversari? Certo, ma non sarebbe male se prima passassero da qualche store ufficiale disseminato per il globo. Sono ormai 10 anni che il produttore cinematografico romano (dalle chiare radici napoletane) amministra la società Napoli. In origine c’era la cenere, tanto per citare ADL (seguendo la moda Twitter), ma soprattutto non c’erano neanche i palloni. De Laurentiis è entrato in tribunale, ha cacciato i soldi (che puntualmente ogni estate i tifosi azzurri vorrebbero veder cadere dalle sue tasche in direzione delle big europee) e ha messo la prima pietra di un progetto ormai florido come quello del Napoli, il cui nome, a distanza di molti anni, risuona ora nelle sedi amministrative di società blasonate come Chelsea, Real Madrid e Barcellona, sia che si tratti di possibili acquisti che di vendite. In un grafico però la Gazzetta dello Sport evidenzia come di strada ce ne sia ancora tanta da fare, e soprattutto come di soli sogni in questo calcio si corra il serio rischio di morire di stenti.

CLASSIFICA

Volendo tralasciare il Manchester United, che nella speciale classifica degli sponsor gareggia in un campionato tutto suo, caratterizzato da un’unica squadra che continua a racimolare titoli (a partire dal 2015 i red devils registreranno entrate da Adidas pari a 94 milioni l’anno), si nota come l’Inghilterra domini il mondo del business calcistico. Se è vero che il Real Madrid occupa il secondo posto, guadagnando 39 milioni l’anno da Adidas, occorre sottolineare come la Liga offra a questa classifica unicamente gli ex galacticos e il Barcellona, quarto dietro l’Arsenal, a quota 34 milioni (gentilmente offerti da mamma Nike). Come detto l’Arsenal è terzo, con 38 milioni di euro targati Puma, nonostante una politica quasi esclusivamente caratterizzata da giovani e zero trofei negli ultimi 8 anni. Ma dove sono le italiane? Ecco spuntare all’orizzonte la Juventus, settima dietro Chelsea e Liverpool, ma prima in Italia con 29 milioni (dal 2015-16), con il Milan a braccetto a quota 27. Sorprende il Bayern Monaco, fermo a 26 e in nona posizione, ma di certo l’effetto Pep alla lunga saprà dare risultati anche in tal senso.

IL RESTO D’ITALIA

E il Napoli? Gli azzurri vengono relegati dalla rosea in una classifica speciale, tipo quella da scuola elementare “ha le potenzialità ma non si applica”, quella delle “altre italiane”. Si tratta di un podio con al vertice più alto l’Inter (non ditelo a Mazzarri altrimenti dice che è stato in grado di valorizzare il marchio Nike sulla maglia nerazzurra), seguita da Napoli e Roma. A Milano la Nike sborsa 18 milioni, mentre a Roma 4, che diventeranno 5 non appena i giallorossi made in USA realizzeranno il proprio stadio. Come tutti i tifosi del Napoli sapranno De Laurentiis ha optato al tempo per la Macron che, nonostante sia di poco appeal per i tifosi, che felicemente sfoggerebbero un marchio che eviti derisioni da spogliatoio al termine delle gare settimanali di calcetto tra amici, appesantisce le casse societarie di ben 7 milioni l’anno. Sul web ci si vanta spesso di come i tifosi del Napoli, e in generale i napoletani, sia ovunque nel mondo, ma il marchio ha ancora molta strada da fare prima di poter essere considerato importante su scala globale. Nessuno però può dire che questa non sia la strada giusta, con campioni che nascono, passano e approdano a Napoli già da svariati anni, un tecnico di fama internazionale e una dipendenza dalle competizioni europee soddisfatta in maniera regolare nelle ultime stagioni.

PAROLA AI TIFOSI

A questo punto la domanda è d’obbligo. Preferireste ricevere molti meno soldi da uno sponsor importante (che di certo non è in grado di far la differenza tra un gol fatto e subito in nessuna competizione) o continuare ancora per un po’ su questa strada in attesa che i tanto agognati risultati sul campo comportino offerte adeguate da parte di Nike, Adidas, Puma e simili? Lo so, domanda retorica. Volete Ronaldo (perché Messi vomita e non è Maradona), il marchio Adidas sulla maglia e soprattutto che il “panzone” cacci i soldi.

di Luca Incoronato (Twitter: @_n3ssuno_)

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