Di uguale c’è poco o niente: tra l’esordio al mondiale sudafricano di quattro anni fa e quello in Brasile di ieri sera, l’Italia ha confermato solo tre calciatori.
Contro il Paraguay, così come nella gara contro l’Inghilterra, in campo sono scesi Giorgio Chiellini, Claudio Marchisio e Daniele De Rossi, tre punti fermi di questa nazionale, l’ossatura che Prandelli ha sempre preteso per la sua squadra sin dal primo giorno.
Tra gli otto rimanenti, in Brasile c’è il solo Buffon, costretto alla panchina da un infortunio nel pre-gara: tutti gli altri, da Pepe a Iaquinta, da Cannavaro a Gilardino, sono rimasti a casa, fuori dal giro della nazionale o addirittura ritirati.
Il nuovo ciclo di questa nazionale non si è aperto ieri sera, ma due anni fa agli Europei di Polonia e Ucraina, la prima infarinatura del nuovo gruppo azzurro.
La storia si è arricchita con il capitolo della Confederations Cup, lo scorso anno, e vuole ora scrivere un ulteriore capitolo in Brasile, al primo Mondiale della gestione Prandelli.
E per cominciare, non ci si può lamentare, perché la vittoria con l’Inghilterra ha sortito tre effetti importanti:
– ha arricchito di certezze il Ct, quelle certezze che parevano smarrite nelle gare amichevoli pre-Mondiale e nelle varianti tattiche dell’ex allenatore della Fiorentina;
– ha ridato entusiasmo alla squadra, conscia dopo una sola partita, delle qualità che questa rosa possiede;
– ha riavvicinato e riacceso il cuore dei tifosi azzurri, felicissimi di aver brindato all’apertura del Mondiale con una vittoria contro un avversario storico e difficile come quello inglese.
Le varianti del successo, però, sono sempre troppe per fermarsi al risultato.
Il disegno tattico di Prandelli ha funzionato, ma dall’altra parte la squadra inglese non è stata la corazzata che ci si aspettava, e questo solo in parte per i meriti azzurri.
La squadra di Hogdson è un’accozzaglia di talento – Rooney, Sturridge, Sterling, Gerrard – che non ha identità e gioca solo per gloria personale.
Gli azzurri hanno anche sofferto, soprattutto in difesa. E questo è preoccupante se si considera che gli unici due giocatori con doti offensive dell’undici di partenza azzurro erano Balotelli e Candreva.
La prova della difesa non ha entusiasmato: oltre alla superlativa prova dell’esordiente Darmian, Barzagli e soprattutto Paletta non sembravano un muro invalicabile in mezzo all’area, senza contare la difficoltà di Chiellini nel giocare in ruolo non consono ormai alle sue caratteristiche.
Dal 2-1 a favore finale, però, bisognerà attingere soprattutto il buono: la magistrale prova di un Pirlo fenomenale, che solo la traversa può fermare, le sorprese Darmian e Candreva, non spaventati dal loro primo gettone mondiale, la regia del giovane/vecchio Verratti, i gol di Marchisio e Balotelli, la qualità immensa di De Rossi.
La prima gara di Manaus servirà al Ct per tutti i picoli e grandi accorgimenti e aggiustamenti tattici.
Ma è soprattutto stata un gran dispendio di energie per tutti quelli scesi in campo.
Ecco perché, nel secondo appuntamento contro la Costa Rica, sorpresa del girone dopo la vittoria per 3-1 contro l’Uruguay, Prandelli dovrà gestire al meglio le forze.
Magari concedendo ricambio a qualche titolare, o con qualche accorgimento al modulo visto ieri.
Ed è qui che entrano in scena i vari Insigne, Immobile, Cassano: soprattutto in attacco, l’Italia può e deve provare varie soluzioni che garantiscano alla squadra sempre grande rendimento, nonostante le difficoltà climatiche che il Brasile riserva.
Perché è vero che chi ben comincia è a metà dell’opera, ma è pur vero che non c’è due senza tre.
E una seconda vittoria significherebbe un piede bello saldo già oltre il girone.
Di Gennaro Arpaia (Twitter: gennarojenius9)