Lo stato di grazia è quando un giorno ti svegli e ti inizia a girare tutto giusto. Lo stato di grazia è quel particolare arco di tempo nel quale potresti spaccare il mondo con la semplicità con la quale ti lavi i denti la mattina. Lo stato di grazia non ha una scadenza: può durare minuti, ore, giorni, a volte anche mesi. Altre volte – ma devi essere una divinità tipo Thom Yorke o tipo, che so, Bobone Vieri – lo stato di grazia può durare molto, molto di più. In certi casi però possono bastare anche un paio di settimane.
Quelle settimane ti cambiano la vita, se sono le settimane delle Nazionali. La storia è piena di esempi di gente che ha dato la vera svolta alla propria vita durante un Mondiale o un Europeo. Senza scomodare mostri sacri come Rossi e l’urlo di Tardelli, senza scomodare neanche il Toldo del 2000 o il Balotelli del 2012, trascinatori e quasi campioni, lasciamo stare anche Baggio e quell’ispirazione ad orologeria, che si spense ad un passo dal traguardo con il rigore calciato in curva nel ’94. Il vero stato di grazia è quello che ti eleva dal grado di illustre sconosciuto a quello di semidio in una manciata di giri di calendario. Le storie più belle sono le storie di quelli che la vera fama l’hanno raggiunta solo in quegli attimi, quando il loro status ha trascinato la squadra e loro stessi dove mai avrebbero pensato di poter arrivare. Per sedici anni il simbolo di questo miracolo è stato Totò Schillaci, trascinatore di un’Italia un po’ appannata che si affidò totalmente ai suoi occhi spiritati e al suo estemporaneo senso del gol. Purtroppo non bastò, gli argentini ci buttarono fuori e i tedeschi ci alzarono la Coppa in faccia, a casa nostra.
Poi arrivò il 2006, e dall’anonimato di Perugia sbucò un certo Fabio Grosso. Lui come Schillaci a quei Mondiali ci era stato portato per fare la comparsa, ma un po’ per caso scese in campo e si prese la scena. Tante differenze fra il ’90 e il 2006, su tutte l’epilogo quasi speculare: noi che buttiamo fuori la Germania in semifinale e Cannavaro che solleva la Coppa a Berlino. Ma fra Totò e Fabio (Grosso) la differenza sta anche nella genesi del successo. Il siciliano fu Provvidenza in mezzo a tanti talenti appannati, il romano emerse sulla distanza fra tanti campioni all’apice della carriera. Il miglior Buffon, il miglior Cannavaro, Zambrotta, Gattuso e l’altra sorpresona Materazzi. Ma il simbolo del trionfo tedesco resta comunque lui, terzino talentuoso-ma-non-troppo che nell’ultima settimana diventò un devastante esterno a tutto campo che neanche Cabrini. La discesa travolgente contro l’Australia, culminata col rigore trasformato da Totti. La partita strepitosa a Dortmund contro la Germania, svoltata dal suo gol, seguito da quella corsa bagnata dalle lacrime e un urlo di gioia rimasto nella storia almeno quanto quello di Tardelli. Poi l’ultimo rigore, calciato con la sicurezza del veterano, lui che i grandi palcoscenici non li aveva mai calcati. A me più di ogni cosa è rimasto nel cuore lo sguardo di Grosso prima di quel rigore. Quegli occhi vivi, accesi ma calmi, sicuri che tutto sarebbe andato nel verso giusto. Per me quegli occhi sono e saranno sempre il vero simbolo dello stato di grazia.
Oggi si comincia, finalmente, e sabato sarà il turno dell’Italia. Non ci resta che aspettare e sperare che anche quest’anno ci sia un uomo “alla Grosso”, un outsider che spariglia le carte e ti porta fino in fondo. A giudicare dalla forma potrebbe essere Immobile, ma sarebbe una sorpresa telefonata almeno quanto il Belgio. Verratti, Darmian, l’insospettabile Parolo: uno di loro andrebbe bene, ma più di ogni altro ci piacerebbe che fosse “l’oro di Napoli“, Lorenzo Insigne, ultimo arrivato nella lista e già protagonista nell’ultima amichevole. Ora sta a Prandelli trovare il coraggio di lanciarli, questi benedetti outsider. Speriamo che ne abbia il fegato, del resto solo chi ha coraggio va a dormire con le femmine belle. Belle anche perché inattese, c’è sicuramente più gusto. E allora forza azzurri, e forza Lorenzo!
Ah, tornando un attimo ai tempi di Schillaci, lo stato di grazia era quello in cui si trovava Giorgio Moroder nel momento in cui compose To Be Number One e la propose a un signore e una signora, in stato di grazia anche loro, che crearono il testo in italiano, ci regalarono un’interpretazione straordinaria (impietoso il confronto con l’originale, guardate un po’ più giù) e la resero una hit senza tempo, quella che è rimasta nell’immaginario collettivo come l’unica e inimitabile colonna sonora dei Campionati del Mondo. Quei due si chiamavano Edoardo Bennato e Gianna Nannini, come si chiama il pezzo non c’è neanche bisogno che ve lo dica. Altro che WakaWaka, altro che Negramaro. Buone Notti Magiche a tutti.
LA CANZONE – Giorgio Moroder – “To be number one”
LA SECONDA CANZONE – E. Bennato – G. Nannini – “Notti magiche”
Di AntonioPapa (Twitter @antoniopapapapa – DaiCalcio @papalepapale)
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