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EDITORIALE – L’imbarazzo della scrittura e il peso della fame. Higuain riallontana l’ombra di Cavani

di Gennaro Arpaia (Twitter: @J3nius9)

Nel pomeriggio domenicale che dà il via alla settimana pasquale, ci si dovrebbe mantenere più leggeri a tavola.
E invece mi alzo dalla sedia con il peso di 4 gol segnati, 2 subiti e 3 salsicce alla brace che ancora ne sento l’odore.
In più, l’angosciante verità che s’insinua nella mia testa: dopo aver assistito ai primi 30′ della sfida tra Liverpool e Manchester City, la Serie A non apparirà più la stessa ai miei occhi, troppo brutta, monotona, lontana dal mio ideale calcistico.
In parte, almeno in termini di gol, non sarà così.

Napoli-Lazio è una di quelle partite che non trovi un aggettivo.
E allora scavi a fondo, per trovare un motivo che ti permetta di guardarla col fiato teso, se non spezzato.

Motivo 1 – Il ritorno di Reja: tra Edy e Napoli, intesa proprio come città, il filo di un rapporto bellissimo non si è mai spezzato.
Certo, come in tutti i matrimoni, ai momenti altissimi corrispondevano alcuni più bassi, ma il suo piacere a tornare a Napoli glielo leggi negli occhi, quando dopo il sottopassaggio alza gli occhi alle curve, quando quello era il suo stadio.

Motivo 2 – Dov’è il Pipita? Ad aprile non aveva ancora trovato la via del gol: arriva la Lazio, sua vittima italiana preferita, vuoi vedere che…

Motivo 3 – No, non c’è, bisognerà accontentarci dei primi due. Perché in fondo la Lazio all’Europa non ci crede, nonostante la matematica possa ancora arriderle, così come il Napoli e la Fiorentina sanno bene che da qui alla fine terzo e quarto posto resteranno gli stessi. A meno di dietrofront incredibili.

Benitez lascia in panca Fernandez, Callejòn e Hamsik, lancia Pandev dietro la punta e soprattutto ci fa vedere per la prima volta dal primo minuto Behrami e Jorginho coppia di fatto a centrocampo.
Reja non risponde, piuttosto rispondono i medici della Lazio: quelle mandate in campo sono scelte più o meno obbligate, tutto sta nel vedere come ci staranno in campo.
E in effetti ci stanno bene: come sempre, le squadre dell’allenatore a Napoli tanto caro non lasciano nulla al caso, stanno bene nei 90 metri, aggrediscono e ripartono, ognuno col suo compito. La fame, quella di fare punti e di togliersi qualche soddisfazione, può fare miracoli.
Tanto va, che il vantaggio è tutto loro: Lulic è il jolly che Reja su gioca, Albiol si pianta sul terreno, e Reina si fa infilare.
Dopo il gol del vantaggio la reazione del Napoli non pare essere repentina. Ma questa è una cosa risaputa.
Gli azzurri sono un diesel: ad uno schiaffo non rispondono mai con un cazzotto, ma piuttosto circuiscono l’avversario per carpirne i punti deboli ed assestare il colpo.
I guantoni stavolta li mette Mertens: controllo, giro, tiro, angolino. Berisha, con tutto l’amore del mondo, li non ci sarebbe mai arrivato.

Nel secondo tempo l’inerzia gira. Il belga numero 14 stavolta toglie i guantoni e sale sul filo per fare il funambolo: uno-due col tacco del Pipita, falciato in area, rigore.
Higuain fa 15 dal dischetto, freddo e glaciale come solo la Lazio sa trasformarlo.

Flashback: 3 aprile 2011, Napoli-Lazio 4-3, lunch-match, sole cocente, la spinta del San Paolo verso la Champions. Lo svantaggio, poi la prima rimonta, poi l’altro svantaggio e ancora rimonta finale, al cardiopalma. Cavani mattatore dell’incontro, ne fa tre e porta il pallone alla moglie. O comunque all’amica del momento.

Tre anni e dieci giorni dopo, ad Higuain devono aver raccontato quella partita.
Il numero 9 si inventa il secondo gol in un modo pazzesco. Divora il terzo che avrebbe già potuto chiudere il match.
Ma la Lazio, solida e compatta, il gol lo trova, per la solita distrazione inaccettabile degli azzurri: 3-2, mancano meno di 10′, ma si arriverà al faccia a faccia.
Macché, il tempo di sofferenza finisce quando Higuain decide che le ombre di quel Cavani lì andavano almeno allontanate.
Palla lunga, controllo a seguire, finta sul difensore, poi sul portiere, scalino, tripletta.

Non ha una moglie, forse qualche amica, ma il pallone lo porta a casa il Pipita.
Diciassette reti in campionato, a due dalla vetta di uno che Napoli non la porta sulla maglia ma dentro il cuore.
Il Pipita sigilla (forse) il discorso terzo posto, conferma la sua acredine nei confronti della Lazio e saluta il popolo acclamante del San Paolo.
Fuorigrotta ha un nuovo Re, con meno capelli e chilometri, ma più speranze di successo.
Anche di successo immediato. Roma già chiama, il Pipita risponde.

Gennaro Arpaia

Iscritto alla facolta di Giurisprudenza della Federico II Napoli. Giornalista pubblicista iscritto all'albo da giugno 2013.

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Gennaro Arpaia

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