di Domenico Ascione (Twitter: @vesuvilandia)
Squillino le trombe, siore e siori; siamo ad appena 17 punti dalla Juve, un margine recuperabilissimo, considerate le otto sfide che restano. Basterà vincerle tutte e attendere al varco il fisiologico calo di una squadra spossata, in piena crisi esistenziale, che ha mostrato al San Paolo la sua evidente subalternità al tritasassi imbastito da De Laurentiis e compagnia cantante, recitante e “filmproducente”. Ore 23:00 circa, il Napoli ha appena battuto con un 2-0 secco la rivale di sempre. Tempo cinque minuti scarsi e cominciano a fioccare sul web i commenti di giubilo misti a insulto più disparati: “avete rovinato l’Italia”; “Chiellini pezzodim*”; “togliere un’ora di sonno alla gente mi sembra tutt’altro che legale… (ah no, scusate, ndr)”, e fin qui ci siamo. D’altronde il calcio non è mai stato un “semplice” sport, checché ne dicano i suoi detrattori più incalliti. Ma il problema è che, accanto ai suddetti leciti o meno leciti “sfottò” da stadio, le bacheche Facebook dell’immediato dopogara appaiono infestate da argomentazioni pseudo-filosofiche, storicistiche, revisionistiche, socio-antropologiche, revival-neoborboniche, che attribuiscono a un’innocente partita di pallone significati che vanno assolutamente al di là del banale rettangolo di gioco, impelagandosi in discussioni aggrovigliate che traboccano come al solito in una marea di demagogici “mi piace”, “bello, bravo, si’ ‘o meglio, perché non ti candidi al Senato?”. I “due minuti d’odio” di orwelliana memoria, praticamente. Come se poi Marotta e Conte avessero invaso a cavallo il Regno delle Due Sicilie, come se Asamoah e Pogba avessero stuprato in paranza le nostre donne, o magari Lichtsteiner e Osvaldo ci avessero soffiato sotto il naso il posto alla Posta che ci spettava di diritto. Considerazioni che, ritornando a questo simpatico giochino chiamato football, non fanno altro che distoglierci da un obiettivo più grande. Ormai l’abbiamo capito: il Napoli queste partite non le sbaglia, anzi le porta a casa spesso e pure volentieri. Sì, ma a che prezzo? Al prezzo di accontentarsi dello scalpo bianconero per poi fragorosamente schiantarsi sui vari Parma, Atalanta, Bologna, Sassuolo e Chievo.
“Una vittoria di Pirro o vittoria pirrica è una battaglia vinta a un prezzo troppo alto per il vincitore, tanto per cui la stessa scelta di scendere in battaglia, seppur vittoriosi, conduce alla sconfitta finale. L’espressione si riferisce a re Pirro dell’Epiro, che sconfisse i Romani a Eraclea e Ascoli Satriano rispettivamente nel 280 a.C. e nel 279 a.C., ma sostenendo perdite così alte da essere in ultima analisi incolmabili, e condannando il proprio esercito a perdere la guerra pirrica.”
Vi sembra che ieri abbiamo vinto noi, ma invece ha vinto un’altra volta Pirlo.
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