di Domenico Ascione (Twitter: @vesuvilandia)
Ci risiamo. Quando le ali erano ormai spiegate e la pista sgombra, quando la “Air Benítez” pareva avviarsi ad un glorioso decollo verso l’infinito e oltre, quando tutto sembra fermo la tua ruota girerà, sopra il giorno di dolore che uno ha. Un dolore tremendo, inflittoci da un vecchio arciere di nostra conoscenza, il quale ha la brillante idea di trasformarsi in Mihajlović giusto una decina di minuti prima del triplice fischio e di scagliare una freccia avvelenata che raggela il sangue di un San Paolo per la verità piuttosto sonnacchioso. Il problema è sempre lo stesso: a questo Napoli manca il killer instinct, e il match col Grifone ne è l’ennesima riprova. Per fortuna nel calcio i punti non contano, o meglio non nel senso boxistico del termine, perciò se sei bello, giochi bene ma non la butti dentro, il rischio di beccarti un sinistro in pieno volto ti aspetta sempre al varco. La scusa che “si scetano tutti contro di noi” o che pure i Calaiò di questo mondo si fanno improvvisamente “uscire la scienza” non regge più. Le partite bisogna chiuderle a doppia, tripla mandata e buttare via la chiave. Come fa la Juve (anche quando non gioca in dodici), come fa il Madrid, come fa il Barça, come fanno insomma tutte le grandi squadre degne di questo nome. Affidarsi alle prodezze di quel nueve straordinario non badando alle pericolose falle che gli si aprono dietro equivale a scherzare col fuoco, e lo scherzo è bello quando dura poco. D’accordo, forse il pareggio è un po’ troppo, ma uno scolaretto indisciplinato si merita ogni tanto una bella punizione. Anzi, una punizione esemplare.