di Domenico Ascione (Twitter: @vesuvilandia)
E insomma, abbiamo fatto il giallo pure stavolta. Sì perché, ammettiamolo, dopo l’improvviso vantaggio del Milan, chi di noi non si è fatto taarabtata vigorosa? È nel nostro DNA, altro che Balotelli. Passare dalla stelle alle stalle e viceversa con la stessa velocità con cui Gervinho si fa un coast tu coast da una porta all’altra senza sforzo apparente. “Siamo sfortunati; non ce ne va bene una; contro a nnuje se scetano pure ‘e muorte; ma addò l’hanno pigliato a chisto?” e via per ore e ore su questa stessa falsariga. Già, falsa, perché se il calcio non è una scienza esatta poco ci manca. Il Napoli sta portando avanti un progetto che progredisce di anno in anno, aggiungendo un tassello fondamentale a un puzzle che prima o poi sarà perfettamente a posto. Un puzzle di mille pezzi, forse, a luce intermittente, però allo stesso tempo ambizioso ed avvincente. Contestare De Laurentiis significa non aver capito da dove arriviamo e contro chi ci stiam battendo. Benítez, che invece di calcio ne capisce eccome, l’ha detto chiaramente; non siamo né il Real né il Paris Saint-Germain, quindi non possiamo permetterci di spendere e spandere a più non posso. Bisogna fare i conti con un bilancio, e i conti di questo Napoli sono tutt’altro che in rosso. In giallo, piuttosto, come la rivedibile casacca indossata sabato al San Paolo. Embè, sarà pure rivedibile, ma intanto ha risvegliato Inler dal suo coma profondo, ha incoronato Jorginho re dell’asse mediano e ha fatto brillare ancor di più quel Signore con la barbetta e l’accento gaucho al centro dell’attacco. Morto un matador se ne fa un altro, anche perché di solito i matador vestono giallorosso, e onestamente di questi tempi direi che non è proprio il caso.