di Domenico Ascione (Twitter: @vesuvilandia)
Ok, non siamo donne, però l’approccio alla partita di sabato è stato tutt’altro che virile. Il Chievo dell’ex “genio” Corini si presentava al San Paolo quasi da vittima sacrificale, con un abisso di 26 punti a separarlo dai padroni di casa assorbiti anima e corpo nell’accesissima campagna anti-preliminari (qualora ci fossero ancora dubbi sul discorso identità sessuale). La classica sfida alla Davide vs. Golia, insomma, non fosse altro che parliamo di calcio, e il calcio è un tassametro spietato che ogni maledetta domenica riprende la propria corsa da punto e accapo. E dire che il Napoli di Mazzarri ne aveva fatto le spese innumerevoli volte, ma la dura lezione del passato prossimo sembra non essere servita granché all’undici di “Don Rafè”, perché, c’è poco da accampare alibi, l’ultima performance degli azzurri è da sottolineare cento volte con la matita più blu che si riesca a trovare in giro. Ad un osservatore decentemente attento, ormai i primi cinque-dieci minuti di gara sono più che sufficienti a prevederne l’intero sviluppo con un ragionevole margine di approssimazione, e questi primi dieci minuti sono stati forse i peggiori in assoluto dell’intera stagione. Prestazione pessima, emotivamente piatta, superficiale, svogliata. Fatti salvi forse Albiol e il solito Mertens, il resto della squadra ha offerto una prova mediocre, con punte verso il basso che sfiorano il tragicomico. Punte rappresentate da un incommentabile Inler e da un Maggio che, gambe supersoniche a parte, infila un orrore dopo l’altro manco fossimo in cadetteria. Certo, partite del genere, con avversari del genere, si vincono pure col minimo sforzo e una qualità complessiva di gran lunga superiore alla norma, ma, come direbbe uno svizzero che ahinoi pratica tutt’altro sport, non è mica sempre Nadal.