di Domenico Ascione (Twitter: @vesuvilandia)
Finalmente. Non per essere autoreferenziali (ah, la preterizione…), ma lo avevamo scritto papale papale neanche un paio di giorni fa su queste stesse pagine: «[…] diciamolo nel momento meno opportuno, quando molti ormai sono convinti che Insigne sia destinato ad essere una stella cadente, di quelle che solcano il cielo per qualche frazione di secondo e poi scompaiono per sempre, quelli che, come dice De Gregori, “non hanno vinto mai”. Non è così. Il ragazzo ha stoffa, tecnica sopraffina, un bel dribbling nello stretto, un’impressionante visione di gioco, e – fidatevi – anche un gran tiro dalla distanza. Deve solo imbroccare uno dei tanti fendenti che sfiorano il palo: questione di metri, talvolta di centimetri». D’altronde, si sa, i centimetri nella vita contano eccome. Centimetri di cui decisamente difetta il folletto di Frattamaggiore, compensati però alla stragrande da un cuore enorme e un attaccamento alla maglia indiscusso e indiscutibile. Una rete inseguita per 7 lunghi mesi in campionato, arrivata oggi a coronamento di una prestazione globale della squadra ai limiti della perfezione. Nelle gare interne, il Verona aveva collezionato finora la bellezza di 24 punti sui 27 totali a disposizione, toppandone dunque soltanto una: quella col Chievo, la più importante. E cosa c’è di peggio che una sconfitta casalinga coi cugini scaligeri? Semplice, una lezione di calcio dagli acerrimi rivali partenopei. Col maestro Rafael Benítez assiso in cattedra e una classe di scolaretti disciplinati dal talento immenso. Fatti salvi i primi venti minuti di gara, una Napoli così non si vedeva da tempo, anzi, parliamoci chiaramente, un Napoli così non s’era proprio mai visto. Higuaín, Callejón e Mertens si confermano acquisti più che eccellenti, Maggio riscopre il gusto di giocare al calcio, Pandev e Inler… vabbuò, nun ce ‘ntussecammo. Dicevamo? Ah sì, un’orchestra impeccabile, con un movimento a fisarmonica degno del miglior Casadei. Tre babà agli inventori del pandoro e tutti a casa, con la ciliegina sulla torta del risveglio in campionato per il nostro Lorenzino nazionale, che quest’anno ha deciso di timbrare il cartellino solo quando vede giallo. Adesso il bambino che piangeva non c’è più, dissoltosi nella nebbia di Verona e del solito manipolo di critici da strapazzo. Era solo questione di tempo, e il tempo è galantuomo, tiene l’accento spagnolo, gli occhiali, il baffettino e l’orologio buono.
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