Marek Hamsik è al Napoli dal 2007 e ha appena rinnovato il contratto fino al 2018, quando avrà 31 anni. Se è vero, come ha detto di recente Michel Platini, che il calciatore moderno è diventato un prodotto, merce che deve muoversi e cambiare squadra spesso per guadagnare (e far guadagnare) sempre di più, il capitano azzurro è una felice eccezione. Se la parola bandiera ha ancora un senso, Hamsik insomma lo è. E oggi all’Olimpico ne incontrerà un’altra come Totti. Un buon modello da seguire per diventare un giorno a Napoli ciò che Totti è per la Roma. «Diventare come lui? Magari – dichiara il giocatore a Il Corriere della sera – anche se io alla sua età penso che sarò già in pensione… Francesco è spettacolare, a questi livelli a 37 anni. Impressionante».
Roma-Napoli è una sfida scudetto?
«Sia noi che loro possiamo arrivare in fondo. Ma oggi non sarà decisiva».
A proposito di bandiere, Lavezzi, Cavani, Mazzarri se ne sono andati. Del primo grande Napoli di De Laurentiis è rimasto solo lei, che è diventato pure capitano. Si sente più solo o motivato?
«Motivato. Loro hanno fatto le loro scelte, io mi trovo bene qui. E finché Napoli mi vorrà, io resterò».
Eppure di offerte ne ha avute. Due anni fa, per esempio, stava per passare al Milan.
«Vero. Poi però non se n’è fatto più niente. E non mi sono pentito».
La cosa più importante che l’ha trattenuta a Napoli?
«I tifosi, senza dubbio».
Che cosa le piace di questa città?
«Tutto. Rappresentare Napoli è insieme una responsabilità e un piacere. Qui la gente ti sta vicina anche nei momenti difficili».
E certe disavventure capitatele con la delinquenza locale?
«Ho imparato. Non porto più orologi…».
Ha detto che vuole battere il record di Maradona: 115 gol col Napoli. Lei è a 75. Si può fare, no?
«Sì, si può. Io vorrei entrare nella storia del club: già la sto facendo, ma mi piacerebbe incidere ancora di più».
Per questo servono i titoli. Lo ha detto anche il suo nuovo compagno Higuain: «Cavani è passato alla storia del Napoli per i gol, io vorrei passarci per i trofei» .
«Giusto, giochiamo per quello. Vincendo la Coppa Italia mi sono accorto che cosa significa conquistare un titolo qui. E ora non mi voglio più fermare».
Si parla molto della sua nuova posizione: più vicino alla porta, più goleador, più decisivo.
«Prima facevo la mezzala o stavo nel tridente. Ora sono trequartista. Sto facendo bene ma posso fare di meglio».
Del resto, con il 4-2-3-1 di Benitez tutta la squadra si è «alzata».
«Facciamo meno ripartenze e puntiamo più al possesso palla. Anche se poi, quando capita, nelle ripartenze restiamo fortissimi».
Settimana prossima torna la Champions con la trasferta di Marsiglia. Con Borussia Dortmund e Arsenal abbiamo visto due Napoli agli opposti. Qual è quello vero?
«Quello con il Dortmund, chiaro. Con l’Arsenal abbiamo sbagliato partita. Capita, ma è passata. Una lezione che tornerà utile».
Che differenze ci sono tra Benitez e Mazzarri, il tecnico che l’ha fatta diventare il campione Hamsik?
«La più grande è il modulo. Già funziona, ma c’è ancora molto margine di crescita».
Si dice anche che con Benitez ci sia meno ansia nell’aria.
«Ognuno ha la sua filosofia. Una cosa è certa: il giocatore deve avere la testa libera. Benitez infonde tranquillità e in campo si vede».
Benitez dice che Hamsik vale molto più di Bale.
«Belle parole, ma un po’ scherzava…».
Ma 100 milioni per un calciatore non è superare il limite?
«Forse, io però non faccio calciomercato. È il mercato che determina i prezzi dei giocatori».
Oltre al calcio che cosa c’è nella sua vita?
«Tantissimo sport. Ogni sport. Non mi fermo mai. Soprattutto tennis: adoro Nadal».
Hamsik non fa mai parlare di sé per vicende extra campo. In compenso ci pensano altri, come Balotelli. Lei che ne pensa?
«Non giudico. Dico solo che se mi guardate, con la cresta e tutti questi tatuaggi, potrei essere un gangster di strada, e invece non è così. Lo stesso vale per Mario. Capita nella vita di fare degli errori, ma prima di giudicare bisogna andare oltre l’apparenza delle cose».
Secondo lei è esagerato chiedere a un giocatore di essere un modello etico anche fuori dal campo?
«Ho anch’io avuto i miei idoli, so cosa vuol dire ammirare qualcuno. Per questo penso sia giusto tenere sempre atteggiamenti corretti. Chi ti guarda ti prende come esempio».
I suo idoli chi erano?
«Nedved e Zidane».
Proprio Nedved disse che lei è il suo erede.
«Un onore. Siamo cresciuti nella stessa terra e siamo centrocampisti che segnano tanti gol. Pavel però ha fatto una carriera eccezionale e a me, rispetto a lui, manca qualche titolo…».
Razzismo, curve e stadi chiusi, un movimento in chiara crisi. Lei che ne pensa?
«Gli stadi vuoti sono una pessima cosa. Però è anche vero che il razzismo va combattuto. A me disturba molto ascoltare certe cose quando gioco e penso si debba intervenire a tutti i costi. Quale sia poi la soluzione ideale non lo so neanch’io».
Suo papà è stato calciatore. Che cosa le ha trasmesso?
«Tanto. Mi ha iscritto alla scuola calcio a 4 anni, mi ha sempre seguito e anche se ho abbandonato la scuola sono riuscito a trovare la via giusta nella mia vita. Se sono qui, lo devo ai miei genitori».
Nel 2002 le pagarono anche il trasferimento dallo Jupie Podlavice, la sua prima squadra, allo Slovan Bratislava.
«Già. Lo Slovan non aveva i soldi e papà ha venduto la macchina per aiutarmi. Direi che ha fatto bene, è uno che capisce di calcio…».
Lei a 11 anni segnò pure 16 gol in una sola partita.
«È ancora un record al mio paese. La partita finì 31-0. E non durava neanche 90’ ma mezz’ora».
Già un piccolo fenomeno.
«O loro che erano parecchio scarsi».
Che cosa direbbe a un giovane che sogna di diventare un campione?
«Di lavorare, avere determinazione, capire che tutto parte dalla testa».
E la famiglia quanto conta?
«Per me tanto, ho due figli, vivo tranquillo, sto bene così. Ma non penso debba per forza essere così per tutti. Ognuno trova l’equilibrio a suo modo. L’importante è trovarlo. Sennò non vai da nessuna parte».