Ci sono poche cose che vanno, in questo momento. Nel Paese, un po’ malandato, e – analizza Il Corriere dello Sport – anche nel calcio, inevitabilmente. Questo Roma-Napoli sembra piovuto dal cielo, tanto è bello e prezioso, completamente fuori dal resto, dal contesto. Non è solo una grande partita che mette nel suo cartellone firme eccellenti, non è solo Totti e Higuain o Garcia e Benitez, anche se i protagonisti alla fine diranno la loro. E’ una partita che vuole dire molto di più, che certifica cose importanti. Per esempio: che a Napoli e a Roma si può fare calcio nel modo giusto, con risultati apprezzabili e senza vittimismi. Non è, insomma, monopolio del collaudatissimo asse Milano-Torino. Oppure: che niente si improvvisa, le squadre si costruiscono con pazienza, con intuito e con intelligenza. Mentre la Roma vinceva il suo ultimo scudetto, roba di oltre dieci anni fa, il Napoli scendeva nel tunnel della B e poi ancora più giù. Oggi il Napoli è la prima rivale della Juve e si sta accomodando tra le grandi d’Europa. La sua rinascita è stata graduale, studiata, gestita con criteri manageriali, non con impeti di passione e follia. Sono stati i nove anni di De Laurentiis, presidente che non ha vinto ancora lo scudetto, ma che ha saputo riportare il Napoli dalla tristezza della serie C agli splendori della Champions.
Ci è riuscito senza indebitarsi, senza acrobazie e senza aiuti, senza i lamenti tipici del Sud, ma con orgoglio, a volte persino con una spocchia salutare. Sempre da protagonista, magari un po’ eccentrico, ma capace di tenere il passo degli altri e di garantire alla società un’immagine forte, autorevole. De Laurentiis ha scelto gli allenatori giusti nei momenti giusti: Reja per risalire dalle nebbie, Mazzarri per svettare e piazzare uno scatto in avanti, ora Benitez per dare al suo club una dimensione europea, internazionale. Il Napoli che vedremo stasera non è, dunque, solo una gran bella squadra, è anche la sintesi brillante, efficace, di nove anni in prima linea, di una crescita costante, continua, affascinante. Una crescita che non si è fermata nemmeno con le partenze di Cavani e Mazzarri. La società ha trasformato un possibile smarrimento, in un’occasione unica per ripartire, per migliorarsi. La storia della Roma americana è molto diversa, alle spalle ci sono solo poco più di due anni, peraltro tempestosi, allucinanti. Gli americani hanno pagato il prezzo di una ricostruzione affrettata e presuntuosa: il grattacielo si costruisce sempre dalle fondamenta, mai dall’ultimo piano. Proprio mentre rischiava il tracollo, la Roma americana ha fatto le scelte giuste, ha dato la virata, trasformando un gruppo devastato dal derby di maggio, in un gruppo forte, lucido, unito. La società ci è riuscita indovinando finalmente l’allenatore e raccogliendo, in modo insperato, anche quanto aveva seminato confusamente nelle prime due stagioni. Perché un club che porta a Roma Pjanic, Destro, Lamela, Osvaldo, Marquinhos e che poi rimpiazza chi parte con gente come Strootman, Ljajic e Gervinho dimostra, pur tra errori e battute a vuoto, di cercare sempre la qualità, non mezze cartucce. Roma e Napoli sono diventate così due squadre moderne, che vogliono fare risultato giocando un calcio piacevole. Sono due società che inseguono un calcio-spettacolo, lo show domenicale, non il punticino: è un concetto molto americano, che Pallotta mastica ogni giorno a Boston e De Laurentiis pratica continuamente nei suoi viaggi di lavoro a Los Angeles. In questo, Roma e Napoli sono due società simili e la riprova si ha dalle scelte fatte in estate sul tecnico. Napoli aveva bisogno, dopo le ruvide vittorie di Mazzarri, di un allenatore come Benitez, molto napoletano nei pensieri e nelle azioni. Roma, distrutta da due anni terribili e da un derby letale, da rancori e veleni, aveva bisogno invece di un duro che la rimettesse in piedi, anche a costo di affrontare tifosi incarogniti e una squadra dilaniata. Rudi Garcia si è rivelato l’uomo ideale. Come tecnici sono molto vicini: il Napoli non gioca più di contropiede e basta; la Roma non si ostina nelle meline di Luis Enrique, né con le follie tattiche di Zeman, oggi è una squadra vera, equilibrata, compatta. Sia la Roma che il Napoli sanno fare possesso palla, quando la partita lo richiede, ma sanno anche ripartire in contropiede se la partita la fa l’avversario. Ecco la modernità di queste due squadre, ecco la bravura dei loro condottieri. Due allenatori che non alimentano baruffe e polemiche, che rispettano gli avversari e usano sempre toni civili. Non è poco, di questi tempi. Stasera finirà come finirà, ma niente potrà frenare ormai la scalata di Napoli e Roma, destinate a cambiare, almeno in parte, la geografia del calcio italiano, i vecchi rapporti di forza. La Juve resta la migliore, la più attrezzata e la favorita, ma nessuno ci toglie dalla testa che d’ora in poi dovrà fare i conti con Napoli e Roma, riemersi, chi lentamente e chi repentinamente, dalle nebbie centromeridionali. L’avviso vale per la Juve, ma anche per l’Inter indonesiana, o per il Milan trafelato, o ancora per la bella e dotatissima Fiorentina. Vada come vada stasera, Roma e Napoli hanno ormai un bel futuro. Da star, non da comparse.
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