In vista di Roma – Napoli, Morgan De Sanctis ha rilasciato una corposa intervista a Il Mattino: «Quattro anni non si cancellano», dice il portiere giallorosso. Domani sera è la sua notte: De Sanctis, primo in classifica con un solo gol incassato in sette partite, contro il Napoli.
Immaginava di trovarsi subito così in alto?
«Quando ho deciso di andare via dal Napoli, ho scelto la Roma dopo aver fatto alcune considerazioni. La vedevo una squadra forte, con valori tecnici importanti, alla quale era tuttavia mancato qualcosa nelle precedenti stagioni. Era un’opportunità da cogliere per restare ad alti livelli e il progetto mi ha affascinato attraverso i colloqui con i dirigenti e l’allenatore Garcia. Però no, sette vittorie di fila non le avrei immaginate. Le abbiamo meritate tutte. Ma la strada resta lunga».
Quale segreto dietro a questi trionfi?
«Chi ha giocato qui negli ultimi due anni ha accumulato tante delusioni e si è gettato nel lavoro con più umiltà, più intensità, più voglia di aiutare la squadra ad essere protagonista. Sono arrivati, poi, giocatori con alte motivazioni: io vorrei chiudere la carriera con un altro importante risultato, Maicon punta a giocare i Mondiali nel suo Paese, Strootman vuole emergere e Gervinho è stato scelto direttamente dall’allenatore. Che in questa partenza ha avuto un peso determinante».
È così bravo Garcia?
«È il principale artefice di questo positivo inizio di stagione. Mi ha subito colpito per le sue idee, chiare ed efficaci. Non gestisce solo le partite, ma anche gli uomini. Però, l’ho detto, la strada è lunga e tortuosa».
De Sanctis avrà pure qualche merito: un solo gol in sette partite.
«Mi preme sottolineare la qualità della nostra fase difensiva, interpretata dalla squadra e non dal singolo reparto. È il contesto che ci ha consentito di mostrare questa solidità».
A Roma si è riacceso il sogno dello scudetto.
«No, calma. L’obiettivo è un altro, chiarissimo: tornare in Europa perché una squadra come la Roma non può restare fuori dal giro delle coppe per tre anni. È una questione di credibilità sportiva. Aspettiamo il girone di andata per capire se è il caso di alzare l’asticella: se fossimo ancora così in alto, nessuno di noi, dal tecnico ai giocatori, si tirerebbe indietro».
Alzare l’asticella: un’espressione adoperata da Mazzarri, che pensava che il suo Napoli non dovesse essere messo sotto pressione e puntare allo scudetto.
«Li ho vissuti, quegli anni. Se siamo arrivati al secondo posto e non più su, non è stato per demerito nostro ma per i grandissimi meriti della Juve, che è anche quest’anno la favorita perché ha Conte in panchina per la terza consecutiva stagione».
Ritrovare il Napoli che effetto fa?
«Sono concentrato sull’aspetto tecnico e tattico. È una partita delicata perché il Napoli ha un micidiale potenziale offensivo. Li conosco tutti perché sono stato loro compagno, escluso Higuain, ma lui non deve essere scoperto, avendo giocato nel Real Madrid. La struttura è solida e ha un allenatore che ha portato idee nuove».
Questo è l’aspetto tattico e tecnico. E quello emotivo? De Sanctis è un calciatore che gioca con il cuore.
«Il fatto di affrontare il Napoli all’Olimpico attenuerà l’impatto emotivo con il passato. Sono sicuro di poter gestire la situazione senza patemi. Forse al San Paolo, tra qualche mese, sarà diverso».
Ma perché è andato via dal Napoli?
«Sono razionale, non un istintivo. Il discorso è stato semplice. A gennaio ho rinnovato il contratto per due anni, la società mi aveva garantito che sarei stato ancora protagonista. Poi è stato ingaggiato Rafael, portiere di 22 anni, per sei milioni. Chiaro il progetto. Prima o poi mi avrebbero detto: ”Aiutalo a crescere”. No, non mi andava bene, perché Benitez aveva detto che De Sanctis era il suo portiere e De Laurentiis lo aveva confermato. Sono andato via, rimettendoci di tasca mia. A Napoli è arrivato Reina, la soluzione migliore in quel momento: un portiere esperto e intelligente che conosce benissimo l’allenatore».
Non sarà stato facile rinunciare ai soldi, stipendi e premi per la qualificazione europea, e alla Champions League.
«Ma io avevo intenzione di giocare ad alti livelli due campionati e questa opportunità mi è stata concessa da una grande squadra come la Roma. Mi sarebbe piaciuto farlo a Napoli, però ho deciso di essere io l’artefice delle mie fortune. Certe scelte sono state fatte negli uffici, sulla carta diciamo così, e non mi sarebbe piaciuto accettarle. Considerando cosa è successo a qualche mio ex compagno, ho rafforzato l’idea che ho fatto bene ad andare via».
Non fa nomi, ma è chiaro il riferimento a Paolo Cannavaro, il capitano finito in panchina. Ma adesso come vede la sua ex squadra?
«Il Napoli ha un organico più forte e completo, è in grado di vincere lo scudetto e può metterci in difficoltà. Bisognerà fare molta attenzione».
Quattro anni in azzurro, lei era così legato alla squadra da scrivere “Forza Napoli” in calce ad ogni autografo ed era il primo a cantare ’O surdato ’nnamurato nelle feste sociali.
«Ho partecipato ad un progetto ambizioso, sono stati toccati i punti più alti. È mancato lo scudetto: peccato, non siamo riusciti a coronare questo sogno. Ma dobbiamo essere soddisfatti, noi e Mazzarri, per quanto siamo riusciti a fare in quattro anni, spingendoci oltre le potenzialità del gruppo. Le soddisfazioni sono state enormi: in due stagioni su quattro siamo andati vicini al primo posto».
Qual è il ricordo più bello di questi anni?
«La finale di Coppa Italia, vinta il 20 maggio 2012 proprio qui, all’Olimpico, battendo la Juventus che aveva appena vinto lo scudetto, l’acerrima nemica. Bel ricordo, anzi bellissimo, perché anch’io quella notte feci qualcosa…».
Domani sarà un’altra grande notte.
«Auguro ai tifosi di godersi lo spettacolo: noi cercheremo di rendere tale questa partita».