di AntonioPapa (Twitter: @antoniopapapapa)
Lo so, è maledettamente ironico dedicare una rubrica che si chiama “Calcio d’inizio” ad un uomo che ha appena udito il fischio finale della sua sfortunata vita. Ma non poteva essere altrimenti, perché è da ore che il suo nome tormenta i miei pensieri. Stefano Borgonovo. Quel nome che neanche la quasi-impresa della Nazionale italiana è riuscita a farmi dimenticare. Beh, mi piace pensare che ieri gli azzurri di Prandelli abbiano preso quella straordinaria vis pugnandi proprio da lui.
Stefano Borgonovo. Sapere della sua morte mi ha lasciato atterrito, spossato come quando il tuo ultimo rigore finisce in curva e senti di aver buttato alle ortiche quattro tempi di fatica, una fatica bestiale. Anche Borgonovo ha avuto dalla vita i suoi tempi supplementari, e se li è giocati fino in fondo, a viso aperto, nonostante la superiorità schiacciante di un’avversaria che sembra un muro di gomma. Testardo come un mulo, Stefano ha affrontato la malattia con freschezza, senza alcuna paura. Con due palle così. Per tutti ormai la SLA è “la stronza”, quel nomignolo sagace e confidenziale che solo chi l’ha conosciuta così da vicino poteva affibbiargli. Ciò che più mi ha colpito è stato proprio questo: la stupenda forza interiore con la quale portava il suo fardello, riuscendo spesso addirittura a sdrammatizzare le tremende sofferenze sotto le quali sarà sicuramente passato. A volte la pietà ci porta a non vedere che anche chi è malato può comportarsi male, scaricando tutto il suo dolore su chi gli sta intorno e facendosi trascinare fino alla tomba, quasi a pretendere quel trattamento speciale che comunque gli sarebbe dovuto. Lui invece no. Lui ci ha messo la faccia, il corpo e l’anima, quasi a volerci far credere fino alla fine che ce l’avrebbe fatta, che sarebbe stato più stronzo della stronza. Speranza purtroppo vana. Ma è questo l’insegnamento più grande che ci ha lasciato Stefano Borgonovo.
Non ha vinto, Stefano, ma è uscito dal campo fra gli applausi di tutto lo stadio. Tutti in piedi, nessuno escluso. In questi casi la sconfitta fa più male, ma ti regala il rispetto della gente, avversari compresi. Eccetto i vertici della Fifa, che per cinismo o forse solo per ignoranza non hanno voluto tributare il minuto di silenzio a quello che comunque è stato un degno rappresentante dell’istituzione. Proprio loro, che forse su questo male terribile potrebbero e dovrebbero spendere qualche parola in più, vista la sconcertante incidenza di calciatori nelle sue statistiche. Che ci volete fare, c’è chi nasce e muore bello come l’erba di un campo, poi c’è chi invece vive brutto come il terreno fangoso. Perché a volte si può essere “stronzi” anche senza ammazzare la gente.