di Antonio Izzo
“Giulietta è na zoccola” è un po’ il tema portante e uno dei motivi scatenanti della nascita di questa rubrica. Il perfetto manuale di come coniugare la risposta ad una forte provocazione ricevuta, con l’arguzia, l’ironia e la fantasia che solo in pochi riescono ad avere. Il popolo napoletano ha il privilegio di far parte di questa cerchia ristretta, ha sempre ‘sfornato’ talenti unici nel suo genere che altrove non si sarebbero affermati. La forza evocativa del dialetto, la cazzimma, la commistione di gioia e dolore, l’ilarità e la sofferenza, il sole, il mare…caratteri unici, qui elencati alla rinfusa, che rendono unico il ‘personaggio’ napoletano.
Restando in tema di drammaturghi, prima di indicare l’origine del celeberrimo striscione che il mondo ci invidia, è doveroso un breve excursus letterario. Perché ben prima delle opere di Diego, una prima risposta ai veronesi l’aveva data nientedimeno che un certo Goethe.
LA RISPOSTA DI GOETHE AI VERONESI – “Vedi Napoli e poi muori”. Il drammaturgo, artista, filosofo, scienziato…Johann Wolfgang von Goethe recitò la frase al suo passaggio in città. In molti, gli stessi veronesi, da sempre tentano di dare un’accezione negativa della sentenza, ma l’invidia è una brutta bestia. Il razzismo (da stadio e non) verso il napoletano si compone di pochi epiteti atti a sottolineare un diffuso luogo comune (“Lavatevi, Napoli fogna d’Italia, immondizia…”). Paese che vai, persone che trovi. Oggi anche un bambino sa che i luoghi comuni non sono un aspetto totalizzante del fenomeno. Goethe nel suo Viaggio in Italia fa tappa due volte a Napoli. Nella seconda, si legge in una delle tante critiche, “approfondisce gli usi e le abitudini del popolo, del quale elogia l’operosità e l’efficienza nella pulizia delle strade, a differenza di altre città che aveva visitato in precedenza” Miglior risposta di questa? Scusate, ma Goethe è Goethe! E’ vero, siamo nel lontano 1787, all’epoca l’Italia non era unita: ma vuoi vedere che…?
LA FORZA DEL DIALETTO – Se continuiamo a parlare di drammaturghi, non possiamo non citare il nostro drammaturgo per eccellenza e una sua bellissima opera. E’ del 1984: mentre Diego sbarcava a Napoli, Eduardo componeva la sua ultima fatica, La Tempesta, un adattamento teatrale del grande dramma composto secoli prima da Shakespeare. Definirla una mera traduzione dell’opera del drammaturgo inglese è però riduttivo. Il dialetto partenopeo, i riferimenti a Napoli e alle sue tradizioni, gli spiriti, gli scugnizzi, l’alto livello poetico del linguaggio eduardiano.. danno forma ad un’opera a sè stante, originale. Insomma una Tempest tutta impregnata dello scenario partenopeo. Eduardo utilizza il dialetto napoletano del Seicento, idioma fortemente evocativo nel lessico e nella semantica: “Guagliù, facìmmece annòre: sìmmo Napulitane!”. Un idioma che viene in soccorso di Eduardo per rendere magnificente la sua traduzione scespiriana: senza di essa il senso sarebbe stato diverso.
IL SAN PAOLO TRADUCE SHAKESPERARE – L’idioma viene in soccorso dei napoletani nel 1996. Stavolta il grande autore è il San Paolo, il dialetto napoletano è quello moderno; la ricchezza evocativa la stessa, si racchiude in una sola e semplice strofa: “Giulietta è ‘na zoccola e Romeo curnuto”. Dopo la traduzione di Shakespeare da parte di Eduardo, arriva quella dei napoletani di un altro grande classico del drammaturgo inglese. Un’ironia e una fantasia che forse avranno fatto sorridere gli stessi Montecchi e Capuleti (o Cappelletti, fato voi!). Pura poesia, senza che Shakesperare si rivolti nella tomba.
8 DICEMBRE 1996 – Non si poteva non ‘onorare’ il ritorno del Verona in massima serie. Dopo il fallimento, il cambio di denominazione e diversi anni di cadetteria, l’Hellas ritorna in A nel 1996. All’accoglienza ci pensa lo stadio San Paolo, Napoli-Verona cade alla dodicesima, l’8 dicembre. Partita sentita, manco a dirlo. Si presentano in 50 mila, carichi dei vessilli di Partenope. Non è più il Napoli di Diego e dei tempi d’oro. E’ la formazione di Gigi Simoni, di Taglialatela, Ayala, Colonnese, Baldini, Cruz, Boghossian, Pecchia, Caccia e Aglietti. Un Napoli che fa bene nella prima parte di stagione, salvo poi rallentare e perdere la finale di Coppa Italia contro il Vicenza. Ma la partita col Verona in casa non va fallita. E’ Mauro Milanese al 93’ ad avventarsi come un falco su un pallone che piega le dita a Guardalben e fa esplodere la torcida azzurra. L’orgoglio partenopeo è salvo; il famoso vessillo sventola fiero dagli spalti. Il Napoli festeggia la salvezza al termine della stagione, mentre il Verona dei Montecchi e Capuleti, per la gioia dei suoi drammaturghi, muore e torna negli inferi della serie B. Peccato espiato!
IL RENDEZ VOUS DEL 2001 – Ma di un peccato ben più grave si sarebbe macchiato l’Hellas qualche anno dopo. Stagione 2000/2001, una delle peggiori della storia del Napoli in cui alla penultima giornata si gioca una gara particolare tra Verona e Parma. Questo sarà il tema della prossima puntata di ‘Rivalità storiche’.
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