Cavani presenta Cavani. Il suo grande capitolo all’interno dell’enciclopedia azzurra del gol. La summa, uno show costruito attraverso immagini evocative che, il Matador, commenta di volta in volta riguardandosi e assaporando ancora il dolce e l’amaro; lo zucchero e il sale; l’aroma, il profumo meraviglioso e il brivido interminabile che scuote la vita “di un attaccante di razza”. Ipse dixit. El dichò. Parola sua: “Sì, per un attaccante vero, di razza, l’esultanza dopo un gol è una scarica di gioia, concentrazione o anche rabbia. Quando si segna si scarica in tanti modi, anche con un balletto studiato nello spogliatoio durante la settimana, come facciamo da quando c’è Armero: lui è Zuniga sono sempre allegri, felici, e al morale fa molto bene. Ecco perchè a persone così ti affezioni”. Dicevamo? “Sì, con un esultanza fai festa e fai vedere che tenevi tanto a fare gol. Per te stesso e la squadra, ma soprattutto per la gente. Per i tifosi”. Ci è riuscito tante di quelle volte, Edi, che valeva davvero la pena mettere insieme vita e opere. E poi, che stile: testa, acrobazia, destro, sinistro; uno, due (quattordici volte), tre (otto volte), quattro (una). Grappoli di gol come uva pregiata. “Il più difficile? Con il Cesena”. Quello del 4-1 per il Napoli, il 26 settembre 2010 partendo dalla panchina. “Sì, quello il più complesso per una questione di tecnica: ho calciato di prima a giro, in velocità, sul filo del fuorigioco”. Il terremoto interiore, però, ha un’altra data: 9 gennaio 2011. “La mia prima tripletta con il Napoli, con la Juventus al San Paolo. Si sa che questa partita è diversa dalle altre, è quasi un derby per la grande rivalità. E’ molto sentita, ed è per questo che m’ha dato qualcosa in più: dal punto di vista dei sentimenti, innanzitutto, e poi della vetrina prima europea e poi mondiale”. A proposito: “Anche il gol con il City al ritorno mi ha dato tanta carica: sentire urlare il San Paolo in quel modo, come tutta quella gioia e quella foga, ci ha dato la spinta per passare il turno. Un’emozione fortissima, soprattutto perchè loro erano più forti e favoriti”. Il gol nell’anima, però, è un altro: 19 dicembre 2010, ancora al San Paolo. Pioveva e schizzava fango: “Con il Lecce. A tempo scaduto. Prima della pausa di Natale: noi cominciavamo a dimostrare qualcosa, di poter competere con le squadre in vetta, ed per questo che quel tiro, quel gol, mi ha segnato di più”. Da fuori, costruito, inseguito, voluto con tutto se stesso: un missile alle spalle del suo futuro compagno Rosati e una liberazione collettiva. “Ma un posto speciale c’è anche per quello con la Juve in finale di Coppa Italia, su rigore: un successo stupendo”. Cento volte Matador. Tutti in piedi. E poi seduti a guardare.
Fonte: Corriere dello Sport