Il ritorno di Diego (e Messi) in Italia riapre il paragone. Ma semplicemente non c’è paragone…
di Antonio Papa (per pianetanapoli.it)
Ci sono momenti in cui gli eventi si concatenano fra loro in una sequenza che di casuale non ha proprio nulla, quasi come se il destino ci tenesse a ribadire quelle verità che a volte mettiamo in discussione solo per quella maledetta voglia di novità. Certe cose sono così e basta, è inutile ricamarci sopra. Il PD perderebbe anche nella famosa pubblicità del Gratta e Vinci, per gli Elii non vincere Sanremo è un premio alla carriera e Messi non è Maradona. Sic et simpliciter.
Dice: basta che Diego torni a Napoli per rinfocolare discussioni ormai sopite? No, almeno non solo. Vicino ci devi mettere il quasi contemporaneo ritorno dalle nostre parti di Leo il Messia 2.0, quello che la Spagna è come Marte e l’Italia è come la Terra. Nove partite a casa nostra, tre gol (su rigore), neanche fosse un Bojan qualsiasi. È chiaro che assumerlo a legge sarebbe oltremodo semplicista, ma comunque c’è di che riflettere. Contro il Milan il piccolo Lionel non l’ha vista neanche col binocolo, e dire che lo marcava Zapata. Giusto per rincarare la dose, aggiungiamoci che non ha segnato neanche contro l’Udinese. L’Udinese. Ok che nove partite sono poche, e che comunque i numeri spagnoli la dicono lunghissima sull’indiscutibile talento di quello che resta l’attuale n.1 al mondo e sicuramente candidato ad entrare fra i big della storia. Ok anche che Maradona in Catalogna non ha fatto sfracelli, ma sicuramente parliamo di un altro Barcellona e soprattutto di un’altra Liga. E’ troppo facile così, è come fare il karaoke con l’orchestra sinfonica mentre l’altro componeva rapsodie con pentole e bicchieri. E probabilmente aspettare la controprova di un Messi nel nostro campionato sarebbe utopia pura, perché il ragazzo non è stupido e preferisce restare il principe fra gli insetti piuttosto che cimentarsi come re fra gli uomini. Di questo passo, più che al D10S, Messi sarà comparabile a Pelè. Uno che ha fatto cose da alieno sul suo pianeta, un pianeta che però rispetto al resto della galassia è solo un puntino insignificante. Non regge neanche la tesi della Champions, più volte dominata da Leo e dal suo Barcellona: anche in quel caso parliamo di avversari che al cospetto del Dream Team sono piccoli così. Del Dream Team, non di Messi.
Per non parlare del lato artistico della cosa. Se Maradona viene accolto ancora come una divinità nella città che l’ha visto salire in cima alla piramide del calcio non è solo per i gol, per le magie o per i trionfi. Conta molto di più ciò che ha rappresentato per il mondo del pallone. Rivoluzionario nei gesti e nelle gesta, Maradona ha inventato tutto ciò che il calcio ancora non conosceva. Ha fatto e disfatto, ha incensato e demolito, ha arringato folle e zittito avversari. Messi a confronto è il bambino che ripete a memoria la filastrocca di Natale. Provate a portarlo a Barcellona a 52 anni e vedrete. La differenza è tutta lì.
(Twitter: @antoniopapapapa)