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di Mario D’Amiano
Genesi, ascesa e fine di un onesto mestierante, per la serie: a volte anche se non sei una stella puoi comunque entrare nel cuore dei tifosi. Era il 1° settembre 2008 quando Marino decise di fare un colpo last minute, che fece storcere il naso a tanti palati fini. All’epoca in panchina sedeva Roberto Donadoni: col tecnico bergamasco, Totò faticava a trovare spazio e a rendere secondo i suoi standard. Poi arriva Walter Mazzarri, e la musica cambia. Aronica diventa uno dei pezzi pregiati della difesa partenopea, strappando il posto con sudore e fatica. Tre anni da titolare inamovibile, fatti di gioie e soddisfazioni per il ‘lucchetto palermitano’, come è stato affettuosamente ribattezzato.
Checchè se ne dica, Salvatore Aronica da Palermo è stato tra i principali artefici delle vittorie più esaltanti. Ha avuto il duro compito di marcare gli attaccanti più forti della serie A, dell’Europa League e della Champions League, avversari del calibro di Dzeko, Drogba e Balotelli. Mai eccelso in quanto a qualità, Mazzarri gli ha sempre chiesto tanta attenzione e qualche anticipo, una delle sue doti principali. E in ciò è stato sempre accontentato. Aronica è una persona umile, non ha mai chiesto spazio né preteso di giocare titolare. Neanche in questa stagione, la più difficile da quando ha messo piede sotto l’ombra del Vesuvio. Un paio di errori decisivi, uno dei quali è costato due preziosissimi punti contro il Torino. Ma siamo sicuri che ai tifosi non sono bastate un paio di topiche per dimenticare quanto il pupillo di mister Mazzarri ha fatto per la causa azzurra.
Qualche errore l’ha commesso, d’altronde è umano anche lui. Ma Totò ha sempre dato il massimo per la causa azzurra, con i suoi pregi e i suoi difetti. In quattro anni e mezzo di Napoli, ha vissuto le gioie più intense del post-Maradona e, soprattutto, la vittoria di una Coppa Italia con l’aggiunta di otto presenze in Champions League. Adesso lascia Napoli per tornare nella sua Sicilia, dopo aver totalizzato 141 presenze ed aver capito di essere arrivato al culmine della sua carriera ad alti livelli. Lo aspetta la sua città di origine, ma siamo sicuri che anche con la maglia rosanero addosso il buon Totò non cancellerà mai il ricordo della sua città di adozione. Come accaduto ad un suo concittadino e predecessore, Emanuele Calaiò, che sebbene palermitano torna sempre spesso e volentieri a Napoli. Sarà sicuramente il benvenuto: non basta essere inciampato qualche volta per dimenticare un percorso così lungo e ricco di soddisfazioni.
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