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Walter Mazzarri, ospite del Corriere dello Sport ha parlato 360° di Napoli, Juventus, Conte, presente, passato e futuro. Ecco di seguito uno stralcio delle sue dichiarazioni
E’ Juventus-Napoli, Mazzarri: cioé il meglio del nostro campionato, uno spot del calcio taliano per l’Europa.
«Ho sempre impostato la mia filosofia professionale sulla ricerca del bel gioco: posso solo sentirmi orgoglioso d’essere il tecnico di una delle due squadre. Una partita si vince, si perde, ma ai risultati si accede attraversol’organizzazione, il metodo di lavoro e qualche personalizzazione».
Quanto vale questo match?
«Presto per dirlo: siamo appena alla ottava, ne resteranno altre trenta da giocare. Saremo ospiti in uno stadio bellissimo d’una Juventus imbattuta da oltre un anno. Ma la strada è lunga e poi al ritorno si va in scena al San Paolo: sarà più importante quella gara lì, perché più prossima alla chiusura del campionato».
Ma potrebbe diventare una partita, come dire?, decisiva, se una delle due
formazioni dovesse dominare l’avversaria?
«Assolutamente no. Puoi perdere in qualsiasi modo, hai il tempo per rifarti. Già dopo una settimana, ad esempio. No, questa non incide; la sfida che conta la affronteremo a Fuorigrotta».
La Juventus alla lente d’ingrandimento: è tanto ritmo, per cominciare.
«Ricalca un po’ il modello-Barcellona: quando perde il pallone lo va a riprendere subito. Nella passata stagione, non ti faceva respirare e poi trovava sempre il gol. Tutto è incentrato sulla fase difensiva, ma se non hai il pieno di energia devi essere saggio, saper far girare la palla e costringere gli altri a correre». Di nuovo a Napoli: cresce la squadra, ma pure il pubblico. «Ricordo la mia prima frase, quando arrivai tre anni fa: voglio essere il vostro garante, avremo sempre un’anima. E’ nato così il feeling e poi si è via via sviluppato. Abbiamo subito sconfitte interne e ricevuto l’applauso del pubblico. Ho visto uno striscione: oltre il risultato. Io alla gente parlo e la gente capisce. E poi Napoli ha tradizione e buon gusto: ricordano ancora, giustamente, Vinicio, che faceva divertire».
Alla Juventus lo scudetto a voi il titolo di società modello: investimenti
nettamente inferiori, monte ingaggi pari ad un terzo di quello della Vecchia
Signora. E’ un miracolo napoletano?
«Mi fa piacere che si notino certe strategie: il Napoli ha costruito un’impresa e penso che certe valutazioni non vadano sostenute soltanto attraverso i risultati sportivi». Mazzarri, racconti Mazzarri. «Quando cominciai a fare l’allenatore dissi a mia moglie: voglio farlo a modo mio, con le mie idee, sapendo che una domenica potrei essere in panchina e l’altra no. Sono partito dalla C2 e qualcuno mi dava del matto: sono ancora qua, con il gusto di allenare i giocatori e di vincere, di migliorare il mio percorso. Foti, presidente alla Reggina, ripeteva: lei è sempre lo stesso, comunque vada la partita. E’ così: io non mi godo i successi, al fischio finale penso già alla gara successiva. Solo dopo aver vinto la coppa Italia con il Napoli sono stato cinque giorni a pensare d’aver realizzato qualcosa di importante. Poi, per il resto, i tre punti servono per gestire; al resto penso con il lavoro: e lì mi sento libero».
Da dove nasce questa libertà?
«Dal rispetto che dò e ricevo. Io se non vengo attaccato non entro mai in polemica: eppure c’è chi mi dà dell’antipatico senza che neppure mi conosca. Mi sembra pazzesco. Ma so che c’è faziosità, ci sono interessi: al di sopra delle parti ci sono soltanto i giudici, gli arbitri».
A proposito dei quali: nota per caso difformità di giudizio su episodi identici?
«Ho parlato dopo la partita di Pechino e non lo faccio più: quelle riflessioni dovevano servire da spunto. Sono accadute alcune cose, in Cina, e ho pensato di fare un discorso costruttivo. Altri commenti non ne aggiungo».
Par di capire: doppio giallo a Zuniga, nella finale di Supercoppa; secondo giallo risparmiato a Chiellini a Siena…
«Non parlo».
La difformità di giudizio dove nasce?
«Quando si dice che l’importante è che ci sia uniformità, ma soprattutto le regole ci sono e vanno applicate nello stesso modo».
Dicono di lei: trasforma i calciatori.
«Grazie per l’annotazione: Bellucci con me ha battuto il suo record di gol ed era a fine carriera; Cassano fece dieci gol nel suo primo anno di Samp; e poi Ciccio Cozza che non è una punta e Protti e Bianchi e Amoruso. E Hamsik e Cavani: diciamo che è
fortuna».
Ma se glielo lo stiamo riconoscendo….
«Eppure c’è chi continua a dire che sono un difensivista, c’è questa favola che il napoli giochi in contropiede. Noi che attacchiamo sempre con almeno cinque giocatori. Sento certe cose e però poi scopro con soddisfazione che Guardiola, il massimo in materia,
uno al di sopra di tutti che osserva dall’esterno, sottolinea il nostro modo di attaccare».
Va di moda la difesa a tre…
«Sapete quando Conte ha cambiato? Quando ha voluto neutralizzarci. Non voleva certo copiarci, ma bloccarci sulle fasce, frenare la nostra superiorità. E pure Guardiola, incuriosito, la provò. Persino in Inghilterra, impensabile, c’è chi ha tentato. La visibilità
permette di fare scuola, ma è per questo che io guardo il lavoro di Maran».
Non si ricordano scontri clamorosi tra lei e qualche calciatore.
«Preferisco prevenire piuttosto che curare. Chiedete a Santoro – il team manager – che passa con me tutto il tempo, o a Frustalupi, il mio secondo che è un grande allenatore: colloqui quotidiani, anche ripetuti. Quando Gargano è rientrato dallo spogliatoio in
ritardo, in campo c’è andato Dzemaili. E poi il giorno dopo ne abbiamo parlato tutti assieme. Credetemi, più difficile all’Acireale, in C/2. Qui arrivo sfinito, perché vogli gestire tutto: sono pignolo, ma la credibilità la acquisiti così».
La Juventus non avrà Conte in panchina: quanto incide la sua assenza?
«Non so e non posso saperlo».
Lei ha espresso grandi apprezzamenti nei confronti di Conte ma che idea si è fatto della vicenda delle scommesse?
«Non mi inoltro neanche in argomenti in cui non sono preparatissimo. Non vorrei che qualcuno pensasse che voglia fare il Ponzio Pilato: ma non so».
La Champions toglierà anche alla Juventus?
«Pure i giornalisti al seguito si stancano. Con campionato e una coppa del genere, qualsiasi cosa tu faccia se perdi è sbagliata. Ma la coperta è sempre corta, perché ogni tre giorni lo stress e la fatica ti prosciugano. E poi non riesci ad allenare, a
spiegare: a me piace dare gli input, far digerire anche dodici soluzioni. Ma se hai una sola seduta, come fai a spiegarne più di due?».
Paradosso: sembrate più equilibrati senza Lavezzi.
«Lavezzi ci ha dato tanto ed è andato via da top player. Un po’ credo di averlo aiutato anche io ad arrivare a certi livelli. Noi abbiamo delle logiche: Pandev è arrivato ad agosto del 2011, era l’alternativa del pocho, siamo stati bravi a riportare Goran alla luce, a tenerlo poi qui con noi. Ma su certi processi simo soliti poderare, non sprechiamo e tentiamo di avvicinarci ad uno status elitario attraverso il nostro modo di far calcio. Qui c’è continuità: sono andati via due uomini già affernati come Gargano e Lavezzi, sono arrivati un centrocampista di qualita, Behrami, e una promessa che arriva dalla B, Insigne. Il mosaico si completa attraverso le intuizioni».
Lavorate in proiezione…
«Ma non è facile, anche perché poi per deragliare basta poco. Ora tutta l’attenzione è su Insigne, ma per prendere una capata (testuale….), bastano un paio di partite sbagliate. E allora, io provo a proteggere i ragazzi: quando arrivai, Lavezzi e Hamsik
avevano fatto addirittura un punto in meno della mia Reggina; e il Cavani di Palermo 9 of 258 era diverso. A me piace parlare di calcio in questi termini, ma so che un titolo sbagliato su un giornale….».
A proposito, quanto vicino è stato alla Juventus…?
«Ecco, vedete, appunto: non lo so, per niente, non mi cercò nessuno».
Le manca la Champions?
«Io mi arrabbio solo quando non posso preparare le partite come vorrei, magari storpiando i nomi degli avversari per provare a trasmettere ai miei ragazzi un pizzico di convinzione in più: un modo per farli pensare che ciò che conta è la tattica, il modo di
attuarla; che ha importanza e dunque incidenza ciò che facciamo noi, non chi sono gli altri».
Cavani tornerà da La Paz, 3600 metri sul livello del mare, a due giorni dalla
Juve…
«Mi fate venire l’angoscia, così m’ammazzate. Spero smaltisca, ha avuto indicazioni, come mangiare e come riposare; e poi lui sa come fare, è abituato. E questa è una partita che dà stimoli da sè».
Firmerebbe per il pari e per il secondo posto che vale la Champions?
«No, perché non fa parte della mia natura. Io non mi accontento mai e ai miei voglio infondere mentalità vincente».
Quando si ferma un po’, magari per un anno: con tutta questa tensione?
«A fine stagione, se ci arrivo. A parte gli scherzi: sono da dodici anni che corro, senza soste. Ma lo stress l’ho conosciuto in C2, non a questi livelli e quando sei in una grande squadra».
Fonte: Corriere dello Sport