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ESCLUSIVA – Parla uno degli svedesi aggrediti: “Che paura, ma Napoli non è solo immondizia e violenza”

Sancita la pace fra Svezia e Italia

 

di AntonioPapa

 

Pär non ha paura di Napoli. Par non torna a casa con i brutti pensieri, quelli che ormai accompagnano molti dei suoi connazionali che sono stati qui. Pär non ha paura. Sarà che ha visto Napoli con gli occhi dell’ospite d’onore, dato che ha soggiornato a casa di un popolare organizzatore di eventi napoletano (Gigi Crispino, deus ex machina di UPnea, ndr). Sarà che affronta la vita con l’apertura mentale tipica del viaggiatore incallito, lui che ha seguito l’AIK Solna in giro per l’Europa. Quando ci accomodiamo su un divanetto dello splendido DejaVu di Pozzuoli il suo sguardo è sereno, giusto un po’ agitato quando parla della famosa aggressione ma tranquillo. E’ lo sguardo di uno che poi alla fine dei conti non è stato così male. Per inciso la serata di ieri è l’unica nella quale sia stato davvero ospite, al di là di tante vane promesse. Proviamo a farci raccontare cosa è accaduto davvero, nel difficile concilio fra l’anglo-napoletano e l’anglo svedese.

 

Caro Pär, togliamoci subito il dente: cos’è successo quella maledetta serata?

“Credimi, ci ho capito poco anch’io. Il nostro amico Alfonso, napoletano trapiantato a Stoccolma, ci ha portato a fare un giro in centro storico, dai Quartieri Spagnoli al Corso Umberto. Poi siamo andati a cena in una pizzeria. Eravamo otto in tutto, siamo arrivati giusto all’antipasto. Ad un certo punto ci raggiungono altri cinque nostri connazionali, che ci mettono in guardia dicendoci che stavano girando tipi poco raccomandabili. Non facciamo neanche in tempo a realizzare che ci troviamo aggrediti da una decina di uomini a volto coperto, armati di coltelli. Io sono riuscito a scappare in tempo e ad infilarmi in un taxi, uno dei miei amici ha avuto una coltellata alla gamba. E’ andata peggio al proprietario del ristorante, che l’ha avuta alla schiena”.

Ti sembrerà una domanda un po’ strana ma te lo chiedo: hai sentito provocazioni a sfondo calcistico? In parole povere, li hai identificati come tifosi?

“Ovviamente non saprei dirlo con precisione, ma non avevano sciarpe né altri oggetti che potessero ricondurre al Napoli. La mia impressione è che siamo stati aggrediti soltanto perché eravamo svedesi, e in quel momento c’era qualcuno che voleva fare a botte con gli svedesi. Ma c’è un particolare che mi ha colpito…”.

Ovvero?

“Io conosco la mentalità degli hooligans europei. Sono stato di recente anche in Polonia per i preliminari di Europa League (contro il Lech Poznan, ndr) e so che i rispettivi ultras si accordano per incontrarsi e fare a botte, come una specie di match nel match. Succede anche in Svezia, succede dappertutto. Il particolare è che in genere queste risse avvengono a mani nude, non certo con i coltelli. Anche per questo in Svezia si sta diffondendo una voce che non mi piace: che i napoletani sono dei vigliacchi, perché combattono con le armi anziché fare a pugni. Anche per questo voglio dire a chi verrà a Stoccolma a dicembre di stare attento: purtroppo i nostri saranno molto arrabbiati, e vorranno sicuramente ricambiare. Con le mani, ci mancherebbe, con i coltelli noi non scherziamo”.

Passiamo allo stadio. Che clima si respirava al San Paolo?

“A parte le due ore di fermo nei pullman, con gente che non sapeva come mangiare, bere o andare in bagno, la partita è andata via tranquilla. Ci siamo divertiti, il San Paolo è fantastico e noi abbiamo cantato ben oltre la fine del match, anche se abbiamo perso 4-0. Per noi era già una festa essere qui. Certo, dalla Curva A qualcuno ha provato a lanciarci oggetti e sono volati i normali insulti reciproci di ogni volta, ma niente di più di tutto ciò. Fortunatamente, forse anche per ciò che ci è successo, c’era un servizio di sicurezza davvero massiccio”.

Tutto per il meglio, quindi?

“Tutto per il meglio. Una cosa però lasciamela dire: ho avuto l’impressione che in Italia il tifoso non sia trattato come un essere umano, ma come un capo di bestiame. Bagni fatiscenti, pochissimi punti ristoro e tanta approssimazione. Da noi non funziona così. Mi ha fatto quasi pena il tizio che doveva soddisfare duemila persone con un solo scatolo pieno di patatine e coca-cola”.

Come ti è sembrato il Napoli? E poi, consentimelo, l’AIK è davvero così scarso?

“Un ottimo Napoli, concreto e talentuoso nonostante giocassero con la seconda squadra. Mi è piaciuto molto, secondo me può anche arrivare in fondo. Noi avevamo diversi infortunati e alcuni campioni che venivano da lunghissimi infortuni e non sono al meglio, come Goitom e Majstorovic. Fidatevi, l’AIK è molto meglio di così. Per vostra fortuna al ritorno noi saremo nel pre-campionato, quindi i calciatori non saranno in formissima. Altrimenti, col freddo svedese di dicembre, non l’avreste passata liscia”.

 Insomma, al di là di quell’episodio, com’è andata la vacanza a Napoli? Cosa dirai ai tuoi amici quando tornerai a casa? Questa città è solo immondizia e violenza come hanno detto i tuoi connazionali?

“Personalmente posso dirti che sono stato benissimo. Napoli è stupenda, tutta da vivere e da vedere. Certo, è come Rio De Janeiro, che magari sbagli vicolo e ti ritrovi in qualche situazione spiacevole. Ma per il resto si sta benissimo qui, ho trovato persone splendide e soprattutto tante cose belle da vedere e da fare. Quello è stato soltanto un brutto episodio, l’unico in un bel soggiorno. Dopo la nostra chiacchierata (gli ho chiarito un paio di aspetti “politici” di una frangia della tifoseria) sono ancora meno arrabbiato per quello che è successo. Tranquillo, sicuramente in Svezia cercherò di fare da paciere”.  Dopo i bei regali che mi ha fatto (la maglia ma soprattutto questa preziosa chiacchierata) non lo metto in dubbio.

 

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Antonio Papa

Giornalista pubblicista dal 2010, "fratello maggiore" di tanti redattori del network, autore di trasmissioni televisive. In TvPlay sono, insieme a Claudio Mancini, il conduttore di FantaTvPlay, di "Chi Ha Fatto Palo" e di altri format creati da noi. Sono una persona che ha fatto della scrittura la sua ragione di vita, coronando un sogno che avevo fin da bambino. Il mio motto è “lavorare seriamente senza mai prendersi sul serio”. Cerco di trasmettere la mia passione e il mio entusiasmo alle persone che lavorano con me: quando ci riesco… ci divertiamo!

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