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Come una cantilena, che nella notte non può diventare ninna nanna. Come un tormento, che ti toglie il sonno e ti trascina in giro per il Park Hyatt. Come uno zombie, a cercar di capire cosa sia mai successo e perché sia mai successo e poi perché proprio a lui, l’uomo del cucchiaio, quel geniaccio più gelido di un inceberg che, arrivato dinnanzi a Buffon e con un uomo alle spalle – che importa chi fosse -, sceglie la strada più pericolosa e però più geniale.
Come Pandev, insomma, che alle due di notte, mentre in Italia ancora non si procede a lasciarsi accogliere dalle braccia di Morfeo, vaga nei suoi pensieri, ripetendo a se stesso ed ai compagni di squadra ciò che ha appena finito di dire altre cinque, dieci, cento volte:”Sono allibito, perché io ho semplicemente detto: no, non è fuorigioco“. E invece, lui in quel momento stava finendo fuori dalla partita, trascinandosi il Napoli, di lì a poco sgretolato: fuori pure Zuniga e per gradire poi Mazzarri.
Nove uomini in campo e l’allenatore spedito in tribuna, più o meno dalle parti di Conte, e però adesso con un altro umore, praticamente simile a quello di Pandev.
QUALE COLPA– C’è un match che sul più bello sta per offrire fuochi pirotecnici finali, dopo averne già lasciato esplodere a sufficienza in precedenza: e lì, proprio mentre deve cominciare la festa, che sia juventina o che sia napoletana, si alza la bandierina gialla di Andrea Stefani, rapido consulto con Mazzoleni e poi «rosso».
Quel che succede in campo non è percepibile da alcun angolo del «nido d’uccello» e quel che coglie l’assistente dev’essere qualcosa di grosso, una parolaccia o un’imprecazione o un vattelapesca: le immagini tv, rivoltate, stanno con Pandev, che però da quel momento sta in perfetta solitudine e se la vorrebbe prendere con chiunque e invece può solo schiaffeggiare il vento. “Io ho semplicemente detto: non è fuorigioco” .
QUALE SVILUPPO– Il resto è cronaca d’una sconfitta annunciata dallo sventolio d’un altro cartellino letale, per Zuniga; e poi è una serata d’inferno, attraversata senza aver nient’altro da dirsi, se non le uniche frasi concesse a caldo nel ventre d’uno stadio che certo non gli dice bene, nonostante avesse fatto un gol capolavoro: perché il paradosso è proprio concentrato nel destino cinico e baro che prima illude Pandev, mandandolo nello spogliatoio in vantaggio per 2-1, con un capolavoro da standing ovation, e poi gli strappa la supercoppa dalle mani per l’oscuro motivo che ora gli fa rodere il fegato.
PECHI…NO – Poi dicono i corsi e i ricorsi storici: non c’è nulla da fare, Pechino non fa per Pandev, che tre anni fa dovette rinunciare alla trasferta con la Lazio, avendo avuto qualcosa da dirsi (e quella volta con sì) con Lotito; e poi, estate scorsa, la Cina gli va di traverso, perché il Milan vince e lui osserva un po’ estraniato dalla panchina; e ora, la beffa.
Quasi novanta minuti da impavido attaccante, che segna e lancia Cavani, che sopporta la pressione di chiunque gli stia dietro ed è sempre pronto a scaricare su chi arriva a rimorchio, che non perde un pallone, cosa sarà mai un pallone, e che orafaticaa dominare la rabbia e però deve farlo: «Io non ho fatto niente: sono allibito. Mi sono limitato a dire, non è fuorigioco» . Ora è fuori di testa, però in silenzio.
Corriere dello Sport