Walter Mazzarri sta trascorrendo il tempo libero nella sua Toscana. Il meritato riposo dopo una stagione a dir poco intensa. Tuttavia egli affronta il periodo di vacanza così come lo può prendere in esame un professionista molto legato al proprio lavoro, ovvero tante attenzioni in famiglia e per la famiglia, ma occhi vigili, ben orientati verso le cose del calcio: gli Europei, le evoluzioni tattiche, la sua squadra in allestimento etc. Da domenica un’altra soddisfazione s’è aggiunta alle tante che l’allenatore di San Vincenzo s’è preso nel corso degli anni. Pure l’Italia di Prandelli per superare un guado pericoloso – le traversie subite e un avversario di rango come la Spagna – s’è tatticamente ispirata al credo di Mazzarri: difesa a tre e gioco rapido sulle fasce. Egli da uomo leale, da uno che dà e chiede rispetto, da persona sincera, riconosce i meriti del suo amico e collega Prandelli e da hombre vertical (come usano dire gli spagnoli) si prende giustamente i suoi. Poi da uomo chiuso a riccio (ma neanche tanto) diventa un uomo aperto (ma solo quando si fida) nel raccontarsi insieme con questa novità della Nazionale.
Esauriamo subito la domanda più ostica: a che punto è la costruzione del Napoli, stagione prossima ventura? (Un sorriso che non ha nulla di dovuto, di rituale, di posticcio, accompagna la risposta)
«Per il Napoli c’è ancora tempo, adesso è presto per parlarne. Ci sarà modo, a mercato concluso e prima del ritiro, per affrontare l’argomento, soffermarsi sull’annata che ci aspetta e soprattutto per elaborare un giudizio sulle potenziali operazioni di rafforzamento in atto».
Per ora meglio ricevere un altro alloro: questa Italia somiglia tanto al Napoli.
«Al di là del modulo, ho notato lo stesso piglio. Già, perché i tatticismi sono importanti, ma è l’atteggiamento che ti consente di adattare uomini e mezzi ad un’idea di gioco: la manovra sugli esterni, il pressing alto…».
Ma con la differenza di avere in campo Pirlo, ovvero un regista puro che nel Napoli non c’è o che forse non troverebbe spazio.
«Macché, dipende sempre dai calciatori che hai nella rosa. Nel Napoli spesso abbiamo giocato col play basso, lo abbiamo fatto nelle coppe e non solo. Con il Siena s’è ”abbassato” Inler con al fianco le due mezzali: Hamsik (nel ruolo di Marchisio) e Dzemaili nella parte di Thiago Motta. Ho provato a volte anche con Gargano, tuttavia lo preferisco mediano. La verità è che in partenza in mezzo al campo e in attacco puoi fare di tutto, dove non ci sono deroghe è nella difesa a tre e nella manovra sugli esterni. Nel corso della partita, però, si può correggere l’assetto».
Come spiega la scelta di Prandelli?
«Cesare è un collega acuto, sa quel che fa. In Nazionale c’era già una ossatura base, un modello predisposto sul quale operare: Chiellini che gioca nella difesa a tre della Juve, Maggio, etc. Non è stata una scelta rischiosa, diciamo che Prandelli è stato bravo nello scegliere un rischio calcolato».
Gli esterni recitano un ruolo chiave, Maggio nel Napoli è fondamentale, lo sarà ora anche in Nazionale?
«Ne sono convinto. Quando l’ho avuto con me alla Samp e poi l’ho ritrovato nel Napoli era un calciatore ottimo ma in evoluzione, ancora alle prese con alti e bassi. L’ho curato tanto in campo e fuori, adesso è il miglior esterno in circolazione».
Da quanti anni lei attua questo sistema di gioco? Ai Mondiali in Sudafrica era in voga il 4-2-3-1 e ora?
«È da sempre il mio piano tattico, dalle prime esperienze da allenatore alla Primavera del Bologna. Sono dodici anni che gioco così, dei quali ben otto con le squadre di club. Sono passato dal 3-4-3 al 3-4-1-2, al 3-5-1-1 fino al 3-5-2. Adesso questo modo di schierarsi in campo ha preso il sopravvento su tutti gli altri. È diffusissimo in Inghilterra e pure in Spagna molte squadre lo praticano. Insomma, è un successo. E pensare che quando iniziai, i colleghi più esperti mi dicevano: ma sei matto, che fai? Passa alla difesa a quattro. Invece, da ostinato quale sono, non sono arretrato di un centimetro».
Beh, lei ha ragione ad essere contento: l’Italia nel debutto agli Europei andava a cercarsi i palloni lontano da Buffon per attaccare subito. A tratti le ha ricordato il Napoli nella finale di Coppa Italia con la Juventus?
«Soprattutto nel modo di porsi dinanzi all’avversario, come è successo a Roma il 20 maggio. All’inizio attaccavamo sempre, avevamo in mano il pallino del gioco e loro manifestavano difficoltà. Del resto proprio la Juve di Conte s’è ispirata al nostro modulo».
Il suo Napoli ha vinto una Coppa Italia, ha disputato una Champions d’avanguardia ed oggi il modulo da lei sostenuto sta cambiando il calcio, dimentico qualcosa?
«Sì, aver contribuito a portare nelle selezioni di mezzo mondo i miei giocatori. Se volessi essere egoista, direi che è fastidioso disputare una stagione di 51 partite avendo i calciatori che saltano gli allenamenti per impegni delle loro rappresentative. Invece non è così: sono fiero e felice che tanti miei ragazzi fanno parte delle loro nazionali».
fonte: Il Mattino
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