I numeri nel loro piccolo (?) non mentono e l’aritmetica spinge il Napoli a farsi un’opinione: è dal 4 marzo scorso che la difesa subisce gol (una rete dal Parma) ed è quindi da ben otto partite (compreso il ritorno di Champions a Londra) che De Sanctis non riesce a chiudere imbattutto una gara. La metamorfosi non sembra avere spiegazioni razionali: prima del match del “Tardini”, la retroguardia azzurra risultava la quarta del campionato; ed era reduce da ben cinque sfide chiuse senza subire alcun affronto.
Banalmente, qualcosa è cambiato: lo dicono le cifre, che sono indiscutibili. Si è modificato, innanzitutto, il livello di attenzione sulle cosiddette palle inattive, che non rappresentano però l’unico neo, perché a Udine il Napoli è stato punito su azione manovrata, così come a Torino e con la Lazio (due volte su tre). La rotazione degli effettivi a disposizione centra poco, semmai è la struttura tattica complessiva della squadra che ha denunciato qualche lacuna, forse figlia dell’appannamento: è venuta meno la protezione della cerniera di metà campo; si sono ripetuti una serie di errori dei singoli, accadimenti normali nel corso di una stagione che però si sono concentrati soprattutto in questa fase della stagione.
Ha avuto la sua incidenza, complessivamente, l’aspetto psicologico derivato dal ko di Stamford Bridge, ma diciassette reti in sette gare (e ventuno in otto) costituiscono un dato eccessivo rispetto alle abitudini di un Napoli che ha saputo chiudere sempre il cuo campionato con una delle migliori retroguardie.
Corriere dello Sport
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