di Nicola Lo Conte
Come sempre, ieri sera allo stadio San Paolo sono andati in scena due spettacoli. Quello offerto dai ventidue giocatori sul campo di gioco (e di autentico spettacolo si è trattato, avendo Napoli e Cagliari elargito la bellezza di nove gol), e quello dal pubblico dei cinquantamila sugli spalti, una volta di più trascinante nel suo calore e nel suo amore verso la squadra di casa, ormai divenuto famoso anche al di là delle Alpi.
Ma una particolare espressione del tifo partenopeo sarà destinata a originare molte discussioni. Parliamo degli striscioni esposti dalla curva A, riguardanti la vendita dei biglietti di Chelsea-Napoli, i quali così recitavano: “Crotone, Sora, Tempio Pausania, Cosenza, Gela, Skutari, Alzano, Treviso…Se cerchi nel cassetto…di queste partite non trovi un biglietto!!! Restate a casa Londra la meritiamo noi!!!“. Chiarissimo l’intento polemico dei gruppi ultras nei confronti dei cosiddetti tifosi occasionali, accusati di accorrere in massa ai botteghini soltanto quando la squadra attraversa periodi fortunati come quello attuale, e di abbandonarla nelle difficoltà come accaduto ai tempi delle serie inferiori. E’ quantomeno paradossale, tuttavia, che sia la tifoseria organizzata ad avere da ridire sulla questione biglietti, quando sono proprio alcuni dei suoi esponenti a finire spesso nell’occhio del ciclone per i propri atteggiamenti a dir poco intimidatori nei confronti dei tifosi “normali” in occasione di partite di cartello; molte sono state infatti le polemiche in questi giorni per il rinnovarsi dei tristemente consueti episodi di arroganza e prevaricazione ad opera dei soliti noti, in nome di un presunto diritto acquisito a discapito di chi vorrebbe acquistare un biglietto per una semplice partita di calcio facendo ordinatamente la fila e aspettando diligentemente il proprio turno, e invece deve vedersi minacciato e nel peggiore dei casi malmenato dall’ultimo venuto.
La chiusa finale “Restate a casa, Londra la meritiamo noi” pone sul piatto delle questioni fondamentali. Innanzitutto, suggerendo un razzismo implicito – ma neanche troppo – tra tifosi di “serie A” e tifosi di “serie B”, in cui lo jus primae noctis sia sempre e comunque di chi vanta un’appartenenza ai gruppi, relegando in secondo piano chi magari sconta il semplice peccato originale di non potersi sempre permettere un biglietto per una partita in casa o in trasferta; in questo modo però rischiando di causare l’allontanamento dalla dimensione stadio di svariate frange di tifosi, che di questo passo si renderanno conto che la posta non vale la candela e preferiranno definitivamente il divano di casa, alla faccia dell’ideale “no alle pay-tv e sì al calcio all’antica” da sempre sbandierato dagli ultras. Ma soprattutto, riproponendo la più classica delle leggi non scritte, ossia quella della giungla, secondo cui il più forte prevale e gli altri devono soccombere; avallando, di fatto, un modo di pensare e di agire di stampo camorristico. Se il termine vi sembra un’esagerazione, provate solo a pensare come lucra la criminalità organizzata sul bagarinaggio. La crescita di Napoli come città passa anche da questi aspetti apparentemente secondari. Stiamo parlando ancora di calcio? Difficile da credere.
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