di Salvatore De Curtis
Ci sono momenti nella vita che si attendono con ansia, e bisogna viverli al pieno delle proprie possibilità. Napoli-Chelsea, ottavo di finale di Champions League, è uno di questi momenti, che ogni tifoso partenopeo attende con trepidazione. Se fino a qualche anno fa poteva sembra solo un’utopia, ora invece è realtà. La festa è pronta ed il vero tifoso in queste occasioni è lì sugli spalti a sostenere i propri colori. In tv la partita la vedi in maniera ottimale, ma in Curva il match lo vivi in prima persona.
Il tifoso è il 12esimo uomo in campo, non è solo un modo di dire, è la realtà dei fatti. E’ vero che per accedere al settore popolare bisogna fare interminabili file, ma è anche vero che l’attesa aumenta il desiderio. E poi ti ritrovi lì, con altre 10 mila persone che non conosci, ma che sono tuoi fratelli, e c’è un solo motto che in quel momento diventa il tuo senso di vita: FORZA NAPOLI. Non conta il risultato, conta la prestazione; non contano i calciatori, conta la maglia. Sei lì a sostenere, a cantare per oltre 90 minuti nella partita che scrive la Storia di questo club, la tua Storia. E poi c’è tutto il resto, quella musichetta magica che apre le porte del cuore e ti permette di sognare, vedere quelle undici maglie tinte d’azzurro scendere in campo che in quel momento rappresentano l’anima di un popolo intero. Ma non è tutto rose e fiori. Sembra che tutto vada per il verso giusto, il Napoli inizia a macinare chilometri ed avversari, finchè non arriva quell’episodio che sembra infrangere tutto quello per cui stai lottando: il campo amico sembra mettersi contro di te spianando la strada del vantaggio agli avversari e ti ritrovi per qualche minuto ammutolito, come se stessi iniziando ad affondare nelle sabbie mobili. Non è forte chi non cade, ma chi cade e poi ha la forza di rialzarsi, e allora riprendi a cantare e tifare, inciti a non mollare e dare tutto per quella maglia, a dare l’anima per raggiungere l’obiettivo, a lanciare il cuore oltre l’ostacolo e non lasciare nulla al caso. Sai che non è finita, e le tue sensazioni si trasmettono ai calciatori che con te vivono in simbiosi. Vedi i ragazzi non darsi per vinti, a battagliare per ribaltare quel risultato che ammazzerebbe chiunque, ma no noi. Riparti da zero, ricominciando a guadagnare centimetri, uno alla volta, perchè alla fine la somma di quei centimetri farà la differenza. Lotti e sbraiti, butti lacrime e sangue finchè non vedi che tutto ciò che hai fatto non è stato fatto invano: la rete si gonfia e la gioia esplode. Diecimila persone in un sol corpo, la gioia è tanta: uomo, donna o bambino non fa differenza, abbracci chiunque si trovi al tuo fianco. Rivedi la palla al centro e sai che non è ancora finita. Continui a sostenere e cantare, perchè l’obiettivo non è stato ancora raggiunto. La prima parte sembra essere finita, ma quanto meno te lo aspetti arriva ciò che stavi aspettando: ancora quel pallone in rete, così che puoi goderti quei 20 minuti di pausa con serenità, stemperando l’ansia. Si riprende e tu sempre lì, canti, batti le mani, salti, urli e continui trasmettere quella tua voglia di lottare e di non mollare a chi scende in campo, perchè anche se in vantaggio bisogna tener duro per altri 45 minuti.
Poi ancora una volta quella sfera varca la porta avversaria e riparte la festa. Ma la partita non è ancora terminata, e continui a fare quello che avevi fatto fino a quel momento. Infine arriva il triplice fischio, e tutto il San Paolo diventa un bolgia: tutti sciarpe in mano a cantare e gridare di gioia, come se il miracolo fosse accaduto, come l’arrivo della notizia che non sei ancora morto, ma che hai ancora la possibilità di vivere, perchè sai che il sogno può continuare. Se fossi Al Pacino in ‘Ogni maledetta domenica‘ direi “è il football ragazzi“, ma invece vi dico “è il Napoli signori miei, e queste sono le emozioni che ho vissuto allo stadio San Paolo in un Carnevale in cui tutta Napoli si è vestita d’azzurro“.
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